CCNL Servizi fiduciari: il rinnovo e la piuma di Dumbo

Quanto lo scorso maggio era stato firmato il rinnovo del CCNL Servizi fiduciari (ora Servizi di sicurezza), l’avevo definito un accordo infame.

Per i lavoratori (contrattualizzati) più poveri d’Italia, tristemente famosi per i loro stipendi da 700€ netti al mese, era previsto un misero aumento di 140€ lordi (poco più di 100€ netti), spalmati in tre anni: la prima tranche sarebbe stata di appena 30€ al mese.

Con sprezzo del ridicolo, le segreterie di Filcams CGIL, Fisascat CISL e Uiltucs avevano unanimemente espresso “soddisfazione per un rinnovo contrattuale che, dopo 7 anni, chiude la lunga fase vertenziale, assicura incrementi salariali significativi e miglioramenti normativi per le lavoratrici e i lavoratori del settore”.

A smentirli ci hanno pensato prima la Procura di Milano e poi la Corte di Cassazione, che con ben sei sentenze ha confermato che retribuzioni al di sotto della soglia di povertà non possono di sicuro essere considerate proporzionate e sufficienti ad assicurare ai lavoratori e alle loro famiglie un’esistenza libera e dignitosa, come impone l’art. 36 della Costituzione.

I rappresentanti del padronato non avevano quasi fatto in tempo a congratularsi per il rinnovo che avrebbe posto “auspicabilmente fine della tensione giudiziale che ha caratterizzato le relazioni industriali negli ultimi mesi“, che si sono ritrovati sotto una pioggia di nuovi ricorsi.

Intanto qualche amministrazione pubblica particolarmente virtuosa ha cominciato a escludere dalle gare d’appalto le imprese che avrebbero applicato ai dipendenti il CCNL Servizi di sicurezza: è il caso della Direzione Cultura del Comune di Milano, che ha ritenuto eccessivo un ribasso del 30% rispetto ai costi del personale stimati (per assegnare il servizio a un appaltatore non molto più generoso, a dire il vero). Il TAR della Lombardia ha recentemente confermato la legittimità della scelta, rigettando il ricorso dell’impresa esclusa.

Non è stato per il loro buon cuore, quindi, che questo 16 febbraio le parti sociali “si sono nuovamente incontrate con la finalità di dare risposte concrete alle pressanti esigenze salariali dei lavoratori del settore“, e hanno firmato un’ipotesi di accordo a cifre ben diverse da quelle del 30 maggio.

Gli stipendi degli addetti di livello D – operai specializzati – passano così immediatamente dagli attuali 980€ a 1.114,29€ lordi al mese (in pratica, l’intero pacchetto di aumenti triennali previsti nel precedente rinnovo), e salirà nell’arco di un triennio fino a 1.300€. In più viene istituita la 14ma mensilità, che prima non era prevista in questo CCNL, a differenza che in altri di settori affini. Complessivamente, nel 2024 la retribuzione annua lorda di un operaio a tempo pieno salirà di circa 3.000€ rispetto all’anno precedente. A regime l’aumento annuale rispetto alle precedenti retribuzioni sarà di oltre 5.000€ lordi.

Sembra tanto (ed è sicuramente un miglioramento importante per i lavoratori del settore), ma solo perché il valore di partenza era al di sotto della decenza. Di fatto, chi lavora in questo settore continuerà a guadagnare meno di 1.000€ netti al mese (1.300 – 9,19% di contributi – 23% di tasse): appena sopra la soglia di povertà ISTAT nel Nord Italia. Si tratta, in effetti, di un semplice allineamento ai trattamenti retributivi dei peggiori tra gli altri contratti collettivi del settore, come quello del settore Pulizie/Multiservizi (attualmente 1.273,50€ per 14 mensilità, con ulteriori aumenti previsti fino al luglio 2025).

Il punto comunque non è tanto giudicare se questi aumenti siano tanto o poco, quanto fare tesoro delle lezioni che offre questa storia.

La prima e più importante è che i soldi per i lavoratori ci sono, e stanno nelle tasche dei datori di lavoro. Le imprese del settore hanno pianto miseria per un decennio, sostenendo di non avere margini di operatività, di essere strozzate dai committenti, e così via.

Ma al dunque, sotto la minaccia dei provvedimenti giudiziari, hanno tirato fuori tutti in una volta gli aumenti che pochi mesi prima avevano spalmato nell’arco di un triennio, aggiungendo pure una mensilità di mancia. E se si guarda al triennio complessivo, gli aumenti mensili passano da 140€ a 470€, considerando anche la mensilità in più. Ma non è che una piccola frazione dei profitti delle aziende.

Questa vicenda allora deve insegnare a tutti i lavoratori che è possibile strappare condizioni di lavoro molto migliori di quelle attuali anche senza attendere che ci pensi la magistratura – che del resto interviene assai di rado, e solo in casi eccezionali come questo.

Il primo passo indispensabile per ottenerle è spingere le proprie organizzazioni sindacali ad alzare di molto l’asticella delle rivendicazioni – salariali e non solo – invece di accontentarsi delle briciole gentilmente elargite dalla controparte. Solo piattaforme davvero audaci, e la consapevolezza che c’è la determinazione di combattere fino in fondo per ottenerle, potranno spingere la gran parte dei lavoratori a unirsi alle lotte, e in questo modo le renderanno vittoriose.

Lo hanno dimostrato lo scorso autunno i sindacati e i lavoratori del settore automobilistico negli USA, che hanno ottenuto aumenti medi del 25% delle retribuzioni dopo uno sciopero di 40 giorni.

È un circolo virtuoso che va innescato, senza paura.

Alla fine, tutta la vicenda giudiziaria sulla retribuzione del CCNL Servizi fiduciari sarà stata davvero importante se ci convinceremo che le sentenze sono come la piuma di Dumbo: si può volare anche senza.

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