CCNL Servizi fiduciari e art. 36: arriva la Cassazione

Mentre i sindacati hanno firmato un armistizio – l’accordo di rinnovo dello scorso 30 maggio – che somiglia molto a una resa incondizionata, il contenzioso legale sulla legittimità della retribuzione del CCNL Servizi fiduciari (930€ lordi al mese per un operaio specializzato con orario a tempo pieno) non soltanto prosegue, ma è un campo di battaglia sempre più acceso.

Del resto in gioco c’è ben più della questione specifica di questo salario e dei lavoratori coinvolti (che sono comunque decine di migliaia!): c’è piuttosto il tema generale del diritto a una retribuzione davvero dignitosa, un diritto che viene messo quotidianamente in discussione per milioni di lavoratori in Italia.

È una battaglia che si combatte su diversi fronti: non solo davanti ai giudici del lavoro, ma anche nelle Procure della Repubblica (vedi i recenti commissariamenti di Sicuritalia Servizi Fiduciari e Mondialpol – quest’ultimo revocato dopo che la società ha aumentato gli stipendi del 38%! – con la contestazione del reato di sfruttamento).

Come sempre quando si parla di tribunali, a sentenze favorevoli ai lavoratori si alternano le pronunce a favore delle imprese, come quella del TAR della Lombardia che ai primi di settembre ha accolto il ricorso di Sicuritalia contro il provvedimento con cui l’Ispettorato del lavoro, lo scorso dicembre, aveva imposto alla società di applicare ai suoi dipendenti un contratto collettivo migliore: secondo il giudice amministrativo il CCNL Servizi fiduciari è “il contratto più appropriato”, anche in quanto sottoscritto dai sindacati maggiormente rappresentativi.

In questa che per il momento è letteralmente “una guerra per procura”, combattuta da avvocati e decisa da giudici, le tre sentenze della Corte di Cassazione pubblicate il 2 ottobre sono artiglieria pesante a disposizione del fronte dei lavoratori.

In tutti e tre i casi, al vaglio dei giudici sono sentenze che avevano respinto la domanda dei lavoratori, una della Corte d’Appello di Milano e due della Corte d’Appello di Torino (una delle quali particolarmente significativa perché aveva a sua volta annullato una delle primissime pronunce favorevoli di questo filone, dell’agosto 2019)

Va detto subito che la Cassazione non prende espressamente e direttamente posizione sulla congruità o meno della specifica retribuzione del CCNL Servizi fiduciari: il suo compito è valutare se i principi in base ai quali i giudici del merito hanno deciso la questione siano corretti e, in caso contrario, stabilire a quali diversi principi dovranno attenersi nella prosecuzione del giudizio.

Per questa ragione è importante il fatto che a essere “cassate con rinvio” siano due sentenze che avevano rigettato le domande dei lavoratori sulla base di argomenti diversi, che vengono tutti smontati: si tratta dei principali argomenti utilizzati finora per contrastare il diritto dei lavoratori a una retribuzione più decorosa.

In particolare, la Corte d’Appello di Torino aveva affermato che, per il solo fatto che il CCNL Servizi fiduciari è sottoscritto dalle organizzazioni sindacali più rappresentative (CGIL e CISL), i salari che prevede dovessero automaticamente ritenersi adeguati.

In aggiunta, aveva ritenuto che per valutare se la retribuzione percepita fosse o meno sufficiente a garantire al lavoratore “un’esistenza libera e dignitosa” si dovessero comunque prendere in considerazione tutte le somme erogate, comprese quelle per il lavoro straordinario.

Infine, aveva contestato il riferimento, come termine di confronto per valutare la sufficienza della retribuzione, alla soglia di povertà ISTAT.

La Corte d’Appello di Milano aveva sì riconosciuto in astratto la possibilità di contestare la retribuzione prevista dal CCNL sottoscritto da organizzazioni maggiormente rappresentative dei lavoratori, ma aveva ritenuto che in concreto si trattasse di un salario adeguato, perché la retribuzione lorda di 930€ mensili sarebbe stata comunque superiore alla soglia di povertà ISTAT di 834,66€ mensili.

La Cassazione fa piazza pulita di tutti questi argomenti.

In primo luogo conferma che la retribuzione prevista dai contratti collettivi, anche quando sono stipulati dalle organizzazioni più rappresentative, non si sottrae affatto alla valutazione in concreto della sua adeguatezza rispetto al limite fissato nella Costituzione, oltre il quale non si può scendere: e questo vale a maggior ragione da “quando, venendo meno alla sua storica funzione, la stessa contrattazione collettiva sottopone la determinazione del salario al meccanismo della concorrenza invece di contrastare forme di competizione salariale al ribasso“.

Una critica nemmeno tanto velata alle organizzazioni sindacali che hanno tradito la loro funzione di tutela dei diritti dei lavoratori, trasformandosi troppo spesso in meri portavoce degli interessi della controparte padronale.

La Corte indica una serie di indicatori esterni che possono guidare la ricerca della retribuzione minima costituzionale, precisando subito che il confronto deve avvenire escludendo la retribuzione per il lavoro straordinario: conteggiare quest’ultimo sarebbe incongruo specialmente quando “il lavoratore, proprio in ragione della esiguità di base del salario percepito, fosse costretto a svolgere molte ore di lavoro straordinario per raggiungere la soglia minima di conformità richiesta dalla Costituzione.

Ciò premesso, il parametro della soglia di povertà ISTAT (a cui possono affiancarsi anche altri indicatori come l’importo della Naspi o della CIG, la soglia di reddito per l’accesso alla pensione di inabilità, l’importo del reddito di cittadinanza) può certamente essere utile nel senso di costituire “una soglia minima invalicabile. Ma di per sé non è indicativo del raggiungimento del livello del salario minimo costituzionale, che deve essere proiettato ad una vita libera e dignitosa e non solo non povera“.

In altre parole, non basta che una retribuzione sia superiore alla soglia di povertà perché possa automaticamente considerarsi dignitosa e quindi sufficiente. Ma una retribuzione che comporti un’entrata effettiva (dunque al netto e non al lordo di contributi e tasse) inferiore a quella soglia, adeguata non lo è di sicuro.

Tra i parametri esterni utilizzabili, la Cassazione indica anche quelli di fonte comunitaria, e in particolare la Direttiva dello scorso ottobre sul salario minimo che, pur non essendo stata recepita nel nostro ordinamento, fornisce ulteriori indicatori certamente utilizzabili dal giudice, tra cui “il rapporto tra il salario minimo lordo e il 60% del salario lordo mediano e il rapporto tra il salario minimo lordo e il 50% del salario lordo medio“, che in Italia si collocava nel 2021 (ultima rilevazione ISTAT disponibile) intorno al valore di 8,41€ orari.

Inoltre la retribuzione deve anche “rispettare l’altro profilo della proporzionalità con la quantità e qualità del lavoro svolto.” In questo senso non solo è consentito ma è necessario e doveroso operare un confronto tra la retribuzione che si assume non proporzionata e quella prevista per mansioni analoghe dai contratti collettivi dei settori affini.

Nel caso del CCNL Servizi fiduciari, questo confronto porta a esiti clamorosi, con differenze anche superiori ai 300€ al mese per lo svolgimento delle stesse identiche mansioni: non a caso buona parte del contenzioso riguarda casi di cambio appalto in cui i lavoratori si ritrovano da un giorno all’altro a proseguire lo stesso lavoro con uno stipendio inferiore di un terzo a quello precedente.

È questo il caso anche delle controversie esaminate dalla Cassazione, in cui “in virtù dell’applicazione agli stessi lavoratori, da un cambio di appalto all’altro, di CCNL sempre diversi e peggiorativi – sottoscritti anche dalle OO.SS. maggiormente rappresentative – si è prodotto il risultato della diminuzione della retribuzione a parità di lavoro“: una “concorrenza salariale al ribasso” responsabile della tragedia sempre più diffusa del “lavoro povero”, che deve essere contrastata per garantire invece “il valore della dignità del lavoro“.

Nonostante le dichiarazioni sbandierate dalle parti, i miserabili aumenti previsti dal rinnovo del CCNL – ora denominato “Servizi di sicurezza” – dello scorso 30 maggio non spostano la questione: sono appena 50€ da giugno (a cui vanno sottratti però i 20€ di “copertura economica” che non saranno più erogati), seguiti da altri 25€ tra un anno, altri 25€ da giugno 2025, 20€ da dicembre 2025 e gli ultimi 20€ da aprile 2026: verosimilmente assai meno dell’inflazione del prossimo triennio.

Adesso la palla torna alle Corti d’Appello e ai Tribunali, che dovranno applicare questi principi.

C’è da sperare che le pronunce della Corte di Cassazione servano non solo a indirizzare nel verso giusto il contenzioso giudiziale, ma soprattutto ad ampliare il campo di battaglia, coinvolgendo tutti i milioni di lavoratori che oggi ricevono salari da fame e spostando il conflitto dalle aule dei tribunali ai luoghi di lavoro e alle piazze.

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