Addio e grazie per il Tennis

Ho visto Roger Federer giocare a tennis dal vivo due volte e mezza.

La “mezza” fu la finale del torneo di Wimbledon del 2009, contro Andy Roddick.

La vidi a Wimbledon in effetti, ma non dal campo centrale: Tania aveva potuto acquistare tramite il public ballot soltanto i biglietti per la finale del doppio femminile, che si giocava lo stesso giorno e garantiva l’accesso al circolo ma ovviamente non anche il posto per la finale del singolare maschile. Ci accontentammo del maxischermo allestito nel campo n. 2.

Roger era nel pieno del suo splendore. In quel torneo non aveva perso un solo set fino alla finale. Rischiò di perdere quella partita però: ho ancora negli occhi i quattro set point consecutivi annullati nel tie-break del secondo set, dopo aver perso il primo. Vinse alla fine 16-14 al quinto (5-7, 7-6-, 7-6, 3-6, 16-14).

Incollato al mio posto per più di quattro ore, mi scottai la metà della faccia esposta al sole: metà bianca e metà rossa, giustappunto i colori della bandiera svizzera.

Esattamente dieci anni dopo Roger avrebbe giocato a Wimbledon un’altra finale altrettanto combattuta, perdendola però contro Djokovic: una delle rarissime occasioni in cui ho pianto (un pochino) per un evento sportivo.

* * *

Le due partite “vere” furono a Genova, nel settembre di quello stesso 2009: furono i due singolari di un incontro di Coppa Davis terminato 3-2 per la Svizzera (il terzo punto lo fece Wawrinka), che vidi insieme a Beatrice, conosciuta poche settimane prima nella mailing list di quel fantastico catalizzatore di rapporti umani che è sempre stato Valerio Evangelisti.

Ho recuperato ieri gli appunti di quella gita divertente. All’epoca avrei voluto trarne un post che non ho mai completato.

Della prima delle due partite, contro Simone Bolelli, avevo annotato:

Ed eccolo Roger Federer, il Re, forse il più forte tennista di tutti i tempi, di sicuro quello che ha vinto di più. Lo stadio lo saluta con un’ovazione, svizzeri e italiani insieme, senza distinzione: nessuno tiferà contro di lui, in nessun caso. Mentre comincia il riscaldamento si sente qualche goccia di pioggia, si teme una sospensione ma per fortuna smette quasi subito. Tanto, la partita non è destinata a durare molto.

Simone Bolelli, fresco di reintegro nella nazionale italiana, perde il servizio una volta sola nel primo set, ma tanto basta per perderlo in mezzora. “E se finiscono i cappellini?” Meglio andare a comprarli subito, tra il primo e il secondo set: l’istinto è giusto, ne sono rimasti appena tre. Dopo il nostro passaggio, soltanto uno. Alla ripresa del gioco, sfoggiamo orgogliosi i copricapi, e siccome siamo casualmente vestiti di rosso nessuno più può riconoscerci come italiani. Anche perché applaudiamo a ogni punto di Federer, il quale – a prescindere dal nostro tifo – vince tranquillamente anche il secondo set e conclude rapidamente per il 6-3 6-4 6-1 finale.

Da qualche tempo, Roger non è più il giocatore che ha vinto di più nella storia del tennis, e tuttavia rimane per me e per tanti il più grande di tutti.

Ho conservato naturalmente il cappellino comprato quel giorno. Quello di Beatrice è l’unico che riuscimmo a farci autografare, due giorni dopo, alla fine della partita che Federer aveva vinto comodamente contro Potito Starace (6-3, 6-0, 6-4), superando a gomitate un muro di ragazzini.

Chissà se avrò mai l’occasione di fargli firmare anche il mio, ora che ha appeso la racchetta al chiodo. Ma anche se così non fosse, ho visto Roger Federer giocare a tennis dal vivo due volte e mezza. E tanto mi basta per un paio di vite.

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