Dal lato giusto della barricata

Non ha più paura […] Sa solo che la loro presenza lì, pochi quanti sono, significa far pagare agli altri ogni metro di terreno che si riprenderanno. E forse serve a far capire a chissà quale posterità che per due mesi a Parigi, nella primavera del 1871, è esistita una speranza talmente bella che molta gente era disposta a morire per difenderla.

Abbiamo festeggiato due mesi e dieci giorni fa i 150 anni dalla proclamazione della Comune di Parigi. Li abbiamo celebrati cercando di rendere l’idea dell’importanza storica e politica di uno degli eventi più grandiosi della storia umanità. La sua grandezza, “il suo vero segreto” per dirla con Karl Marx, “fu questo: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe di produttori contro la classe appropriatrice, la forma politica finalmente scoperta, nella quale si poteva compiere la emancipazione economica del lavoro“.

E fu il primo della storia, anche sei i suoi protagonisti non potevano in quel momento neppure rendersi del tutto conto di che cosa stavano realizzando, attraverso la serie di misure che ebbero solo il tempo di abbozzare: su tutte, la soppressione dell’esercito permanente sostituito dal popolo in armi e l’assoluta eleggibilità e revocabilità di tutti i funzionari e gli organi dello stato, a cui non sarebbe spettato se non il salario di un operaio, e ancora l’espropriazione e l’assegnazione a cooperative operaie di fabbriche e officine abbandonate o lasciate inattive dai loro padroni. Non ne avevano forse piena consapevolezza, ma questi provvedimenti erano i primi passi verso la distruzione dello stato come strumento dello sfruttamento di classe, a sua volta l’unico mezzo per ottenere realmente la fine di questo sfruttamento.

Seppure confusa, l’idea che stessero costruendo un mondo nuovo, e più giusto, fu ciò che spinse centinaia di migliaia di donne e uomini a lottare fino alla morte, e anche quando la morte era diventata l’unica prospettiva concreta.

No, non faranno distinzioni tra gli omicidi e le mascalzonate commesse da lui e il branco di orride canaglie, barbari armati, alcolizzati, crapuloni, ladri e assassini, discendenti di quelli del ’93 e del ’48, che sono quasi riusciti a rovesciare il vecchio ordine e le sue regole, secondo loro inique, scacciandone i fautori e i guardiani e soprattutto macchiandosi del crimine assoluto: mostrare al mondo che era fattibile.

Era assai più chiara quest’idea nella testa degli sfruttatori, della grande borghesia e dei suoi rappresentanti. Nella settimana dal 21 al 28 maggio, Parigi venne letteralmente rasa al suolo dai bombardamenti non dell’esercito prussiano che la circondava a est e a nord, ma dai suoi stessi governanti che in precedenza erano fuggiti a Versailles e avevano ottenuto dai prussiani la liberazione di centomila prigionieri per distruggere la Comune. Già distrutta dal fuoco, la città venne inondata di sangue man mano che l’esercito regolare penetrava di quartiere in quartiere, con l’ordine di non fare prigionieri. Le vittime, tra i difensori della Comune, furono nell’ordine delle decine di migliaia soltanto nella settimana di sangue. Seguirono altre esecuzioni, senza contare le condanne ai lavori forzati o alla deportazione.

La basilica del Sacro Cuore venne eretta due anni dopo sopra Montmartre “per espiare i crimini dei Comunardi” ed è ancora oggi un monumento all’odio delle classi dominanti contro coloro che vogliano metterne in discussione il loro diritto allo sfruttamento.

Se l’eroismo dei difensori della Comune è di per sé straordinario, è proprio l’odio dei loro persecutori a dare la misura della grandezza della loro impresa.

Racconta in modo impressionante quest’odio inestinguibile Hervé Le Corre nel suo romanzo L’ombra del fuoco (edizioni e/o, 2020), un noir ambientato negli undici giorni dal 18 al 28 maggio 1871. Ogni giorno è un capitolo: dall’alba alla notte seguiamo in un montaggio alternato le vicende dei protagonisti che si inseguono nella città che brucia un quartiere alla volta, annega nel sangue una barricata dietro l’altra, mentre l’esercito dell’ordine avanza inesorabile. È come un conto alla rovescia scandito dai colpi di mortaio, da piccoli e grandi gesti eroici, dalla crescente consapevolezza di alcuni personaggi di che cosa rappresenti quel sogno per cui stanno sacrificando la vita.

L’autore descrive con enfasi e senza risparmiarcene i dettagli la crudeltà, i massacri, la distruzione di quel sogno da parte di chi, piuttosto che vedere Parigi in mano al popolo, preferisce radere al suolo anche i suoi stessi palazzi.

L’affresco creato dall’intreccio dei personaggi e delle loro storie, complesse e credibili, restituisce più di molti saggi il senso della Comune, senza mai cadere nel didascalico aiuta davvero il lettore a comprendere le motivazioni profonde dei tantissimi che furono disposti a morire sulle barricate. Soprattutto, mostra con immagini straordinariamente potenti che in quelle barricate, in tutte le barricate in effetti, c’è un lato sbagliato e c’è un lato giusto. Io so da che lato voglio stare.

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