Il protocollo sul lavoro – ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare il coronavirus

In attesa del prossimo decreto che finalmente rivelerà le misure per fronteggiare la crisi economica da coronavirus, due parole sul “protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro“, sottoscritto sabato scorso, con i buoni uffici del governo, da CGIL CISL e UIL e da Confindustria.

Breve antefatto: la scorsa settimana molti lavoratori, specialmente nelle grandi fabbriche (di beni non essenziali) in cui non era possibile predisporre lo “smart working”, si sono chiesti perché mai, in nome della sacrosanta necessità di “restare a casa”,, chiudessero per decreto gli esercizi commerciali, mentre i loro datori di lavoro continuavano imperterriti a esporli al rischio del contagio. In parecchi si sono incazzati, hanno organizzato scioperi un po’ dappertutto e hanno spinto i loro (recalcitranti) rappresentanti sindacali a chiedere urgentemente un incontro con i vertici di Confindustria per risolvere la situazione.

Il protocollo stipulato sabato costituisce l’esito di questo incontro: vediamo se ha effettivamente risolto, o almeno migliorato, la situazione, analizzando i 13 punti (e già qui, se uno fosse scaramantico, capirebbe che c’è sotto la fregatura) da cui è composto.

1.INFORMAZIONE

In pratica si prevede che le aziende informino i dipendenti, con appositi depliant, che se sono malati devono avvisare e stare a casa, altrimenti devono obbedire a tutto ciò che il datore di lavoro deciderà, e soprattutto devono lavarsi spesso le mani.

2.MODALITÀ DI INGRESSO IN AZIENDA

Contro ogni regola in materia di privacy, in particolare quelle stabilite dallo Statuto dei Lavoratori, il datore di lavoro (e non le autorità sanitarie competenti, come il medico aziendale) potrà provare la febbre ai dipendenti, che non potranno opporsi; potrà anche chiedere il rilascio di una dichiarazione che attesti la non provenienza da zone a rischio e l’assenza di contatti con soggetti risultati positivi al virus. In pratica, si sta dicendo che il datore di lavoro si sostituisce sia all’autorità sanitaria e a quella amministrativa, diventa medico e pubblico ufficiale.

3.MODALITÀ DI ACCESSO DEI FORNITORI ESTERNI

La parte importante di questo punto è quella in cui l’applicazione del protocollo è estesa alla filiera degli appalti: dunque tutte le “raccomandazioni” ai datori di lavoro valgono anche per le varie cooperative (delle pulizie, della logistica, etc.) che operano in azienda. Sappiamo bene di che tipo di imprese si tratta e delle condizioni di lavoro dei loro dipendenti, già in condizioni normali…

4.PULIZIA E SANIFICAZIONE IN AZIENDA

L’azienda deve tenere tutto pulito, compresi – lo prevede il punto 7 – mensa, spogliatoi e altre aree comuni. Come se invece, di solito, potesse non farlo! A sua discrezione, può anche scegliere di attivare gli ammortizzatori sociali per sospendere l’attività intanto che pulisce per bene. Oppure può scegliere di non farlo.

5.PRECAUZIONI IGIENICHE PERSONALI

I lavoratori devono lavarsi le mani, meglio se spesso e con acqua e sapone. Le aziende devono mettere a disposizione “idonei mezzi detergenti per le mani“: cioè… il sapone. Il fatto stesso di scriverlo, lascia intendere che di solito, invece, nei bagni aziendali non ci sia neppure quello!

6.DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE

La premessa, qui, è che “l’adozione delle misure di igiene e dei dispositivi di protezione individuale indicati nel presente Protocollo di Regolamentazione è fondamentale e, vista l’attuale situazione di emergenza, è evidentemente legata alla disponibilità in commercio“. Dunque, pare di capire, se le mascherine non si trovano per tutti… se ne farà a meno e speriamo bene.

8.ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

Le imprese possono (ma non devono):

  • ricorrere allo smart working
  • produrre meno
  • organizzare una turnazione fra i dipendenti
  • accedere ad ammortizzatori sociali come la cassa in deroga “se del caso anche con opportune rotazioni” (ovviamente decideranno loro se è il caso)
  • eventualmente “utilizzare” le ferie arretrate

Tralascio i punti 9 e 10, che mi sembrano meno interessanti, e vado direttamente al punto

11.GESTIONE DI UNA PERSONA SINTOMATICA IN AZIENDA

Se un lavoratore avverte febbre e sintomi di infezione respiratoria, lo deve dire subito all’ufficio del personale. A questo punto, si chiude tutto il reparto e si mandano tutti a casa con lo stipendio pagato, giusto? In effetti no. L’azienda isola l’untor… pardon, il lavoratore, avverte i presidi sanitari e, se il lavoratore risulta positivo al tampone (quindi dopo un paio di giorni) potrà chiedere a chi era a stretto contatto con lui di lasciare cautelativamente lo stabilimento. Però potrà anche non farlo, casomai preferisse mandare avanti la produzione come se nulla fosse.

12.SORVEGLIANZA SANITARIA

Non deve essere interrotta la sorveglianza sanitaria prevista dal Testo Unico sulla sicurezza. Perché, forse qualcuno lo aveva proposto?

ULTIMO (non sono superstizioso, ma…).AGGIORNAMENTO DEL PROTOCOLLO

In ogni azienda è costituito un comitato per l’applicazione e la verifica del protocollo, a cui partecipano anche rappresentanti sindacali e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Dunque ci si aspetta che i delegati in ogni singolo posto di lavoro abbiano la forza di resistere alle pressioni della controparte: una forza che i rappresentanti nazionali non hanno avuto.

CONSIDERAZIONI FINALI

Premesso che, per sua natura, il protocollo non costituisce un provvedimento normativo, ma è in sostanza un contratto valido tra le parti che l’hanno stipulato (le “parti sociali”), e premesso che si tratta di un contratto finalizzato a stabilire non norme precise di comportamento ma solo delle “linee guida” da adattare ai vari casi concreti, a me pare che il testo non rappresenti un passo avanti per i lavoratori.

Nel migliore dei casi, il protocollo non fa che riaffermare i principi già contenuti nel Testo Unico sulla sicurezza e in generale nel nostro ordinamento, che prevede espressamente l’obbligo, in capo al datore di lavoro, di tutelare l’integrità fisica (e la personalità morale) dei propri dipendenti. Un obbligo frequentemente disatteso così come sono largamente disattese le più analitiche prescrizioni del Testo Unico: infatti morti e infortuni sul lavoro non si contano nel nostro Paese già in tempi normali.

Il protocollo però a me pare non solo inutile, ma anche dannoso, nella parte in cui mette nero su bianco il principio della discrezionalità nell’osservanza delle misure, lasciando al datore di lavoro poteri più ampi che mai nella loro predisposizione e implementazione. È significativo che l’unico dovere previsto dal protocollo per le imprese è quello di fornire il sapone ai lavoratori; per il resto si tratta solo di inviti decisamente laschi; sono invece previsti numerosi poteri per i titolari delle aziende, e altrettanti doveri per i lavoratori. Giuridicamente, questo prefigura una situazione in cui, in caso di contagio in azienda, sarà più difficile per il lavoratore dimostrare la responsabilità del datore di lavoro che non abbia preso le dovute precauzioni.

Insomma, questo Coronavirus, per le grandi imprese, non è poi tutto da buttare…

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