Tre film che dovreste vedere

Non mi capitava da tempo di andare al cinema due volte in una settimana (ma ho fresca memoria di una “doppietta” nella stessa serata). Ancora più raro che entrambi i film, Everything Everywhere All At Once e L’ultima notte di Amore, valessero davvero il prezzo del biglietto. Se ci aggiungiamo Niente di nuovo sul fronte occidentale, che ho visto su Netflix in questi stessi giorni, è una tripletta di un certo livello.

Non ho il tempo di scriverne tre recensioni vere e proprie, ma due righe gliele voglio dedicare.

Non so se meritasse tutti e sette gli Oscar che ha vinto, ma Everything Everywhere All At Once è davvero un film suggestivo. Brillante e sopra le righe, una regia degna dei migliori videoclip degli anni Novanta, ritmo forsennato e trovate esilaranti. Più che quello fumettistico esplorato (male) dalla Marvel negli ultimi anni, il multiverso di EEAAO ricorda quello scanzonato che compare in certi episodi dei Griffin, dei Simpson o di Rick and Morty, totalmente privo di freni e ricco invece di un sarcasmo a tratti esilarante, oltre che visivamente strepitoso.

Ma sotto la superficie fantasmagorica c’è una riflessione più profonda di quanto sembri, tragica e in qualche modo catartica. Il film tratta alla fin fine della distanza, che può anche essere abissale, tra quello che avremmo potuto e quello che siamo stati, di come questa distanza può farci sentire disperati e in un vicolo cieco, di quanto perciò dobbiamo essere anche in grado di riconoscere il valore delle nostre scelte. Non c’è necessariamente un lieto fine: magari abbiamo fatto davvero le scelte sbagliate, e allora…


A proposito di Oscar, è un peccato che Niente di nuovo sul fronte occidentale sia uscito soltanto su Netflix e non anche in sala: è un grande film, probabilmente anche al di là delle intenzioni degli autori (e dei produttori).

Intendiamoci, non gioca certamente lo stesso campionato di Orizzonti di gloria di Kubrick (che ha anche un’ambientazione molto simile) o La sottile linea rossa di Malick – film davvero memorabili che trattano lo stesso tema dell’inutilità della guerra.

Ma l’importanza di questo film – che ha comunque degli spunti notevoli sia nella regia che nel montaggio, senza contare una colonna sonora che scuote il cervello – è legata al contesto in cui esce, al rapporto con la realtà che lo circonda.

E allora si può perdonare anche una certa ridondanza a un film che racconta l’inutilità della guerra, da qualsiasi parte si combatta, nel bel mezzo di una guerra vera e proprio nei giorni in cui il nostro governo (ma ugualmente anche quelli degli altri paesi occidentali) proclama che la propaganda per la pace è da irresponsabili.


Non ha vinto e non vincerà nessun Oscar, e forse proprio per questo è stato ancora più sorprendente L’ultima notte di Amore, thriller (con tinte noir) di Andrea Di Stefano ambientato nella Milano contemporanea, con Pierfrancesco Favino nelle vesti del poliziotto Franco Amore nella sua ultima, complicata notte in divisa prima della pensione.

Amore (un ottimo Pierfrancesco Favino) è un poliziotto con un suo codice morale, ma incline a certi compromessi e non esattamente integerrimo. D’altra parte, dopo trent’anni di lavoro porta ancora a casa “milleottocento al mese, Dottoressa…“: ecco un buon esempio di come questo film di “genere” sia italiano, non semplicemente perché sia ambientata in Italia una storia che avrebbe potuto svolgersi ovunque, ma perché solo a Milano questa storia sarebbe potuta capitare.

Un esercizio riuscito a pochi negli ultimi anni (una duplice menzione va a Gabriele Mainetti per Lo chiamavano Jeeg Robot e per Freaks Out, sia pure in un genere diverso), e che qui riesce a meraviglia.

Allo stesso tempo, è anche la dimostrazione che un film di genere italiano possa essere un film assolutamente credibile, anche perché è accompagnato da una regia curatissima fin dalla primissima carrellata aerea sulla metropoli al crepuscolo.

E il finale…

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