Adil è morto. Anzi, è vivo

Adil Belakhdim è morto. È stato ucciso fuori dai cancelli del magazzino Lidl di Biandrate, dove stava coordinando lo sciopero dei facchini. Adil era il coordinatore provinciale di Novara del Si Cobas, una delle organizzazioni più attive nel mondo della logistica.

La cronaca dice che ad ammazzarlo è stato un giovane autista che, nel tentativo di sfondare il picchetto che bloccava i cancelli, l’ha travolto e trascinato per metri, ferendo anche altri lavoratori. Le responsabilità individuali saranno accertate dai giudici, ed è sacrosanto che l’esecutore di questo omicidio, sconti una pena adeguata: c’è da sperare (non molto purtroppo, considerate le condizioni del nostro sistema carcerario) che la pena abbia davvero in questo caso una funzione rieducativa.

Non c’è alcuna speranza, invece, di rieducare i veri responsabili, i mandanti di fatto dell’assassinio di Adil: le multinazionali e le imprese italiane della grande distribuzione, che il “sottocosto” lo realizzano quotidianamente imponendo ai loro appaltatori tariffe che non coprono neppure il costo del lavoro; i padroni di tutta la filiera degli appalti, dai grandi consorzi della logistica alle cooperative che durano due anni e cambiano nome in modo da aggiungere alla cresta “legale” anche quella illegale degli stipendi non pagati; le forze dell’ordine, veri e propri cani da guardia del padronato, pronti ad accorrere, identificare, denunciare a un fischio del padrone di turno, ma semplici spettatori quando si tratta di proteggere i lavoratori dalla violenza sempre più frequente; e infine i rappresentanti delle istituzioni e dei governi, più o meno tutti quelli che si sono susseguiti negli ultimi decenni, che hanno creato e strenuamente difendono il quadro normativo che rende possibile lo sfruttamento più estremo, e difficilissime le lotte per combatterlo.

Suonano particolarmente ipocrite allora le parole del Ministro del lavoro Andrea Orlando che accusa il sistema degli appalti ma dimentica, tra le tante cose, che nel governo di cui fa parte siedono le forze politiche che non più tardi di due anni e mezzo fa hanno reintrodotto con il Decreto Sicurezza il reato di blocco stradale, precisamente allo scopo di impedire tutelare la “libertà di circolazione” criminalizzando forme sacrosante di lotta. E dimentica che il suo stesso partito, al governo da due anni, non ha fatto assolutamente nulla per abrogare o modificare la norma.

Impedire le lotte, rendere difficile far valere i propri diritti a livello collettivo come a livello individuale, è ancora più grave che cancellarli del tutto, quei diritti – cosa che comunque gli ultimi governi non hanno mancato di fare. È subdolo, perché quel che si ottiene è incoraggiare il padronato e i suoi lacchè consapevoli o meno (in quest’ultima categoria rientra l’autista che ha ucciso Adil) a calpestare questi diritti, con la ragionevole certezza dell’impunità, almeno per i mandanti.

Nel settore della logistica specialmente, il meccanismo degli appalti contribuisce proprio a rendere i diritti dei lavoratori sostanzialmente inesigibili, creando “muri” artificiali tra dipendenti di serie A (quelli direttamente alle dipendenze del committente, quando ci sono) e di serie B (quelli ingaggiati dagli appaltatori): pur lavorando fianco a fianco e facendo le stesse cose, spesso agli ordini degli stessi responsabili, hanno condizioni di lavoro e salari diversi. Il committente risponde per gli stipendi non pagati, ma fino a un certo punto e solo a certe condizioni. È un inferno di precarietà di fatto, alimentato per obbligare chi lo vive, specie se immigrati con la spada di Damocle del permesso di soggiorno da rinnovare, a tenere la testa bassa.

Oggi è sicuramente il momento di piangere la scomparsa di Adil, di stringersi intorno alla sua famiglia e ai suoi compagni con il cordoglio più sincero. Il modo migliore per onorarne la memoria è coltivare il suo lascito e proseguire la battaglia in cui era in prima linea. Una battaglia tra chi difende lo sfruttamento dei molti, in tutte le sue forme, in nome del profitto per pochissimi, e chi lotta per un mondo più giusto in cui nessuno possa, lavorando, rimanere povero. Da una parte c’è un sistema marcio che ogni giorno di più mostra i segni della putrefazione; dall’altra chi cerca di scardinarlo in nome della dignità dei lavoratori e della solidarietà di classe.

Ci conforti il fatto che i morti sono loro, Adil invece continuerà a essere vivo nelle nostre lotte.

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