Il piano sequenza dei morti viventi

Esce oggi in pochissime sale (da qui l’elenco regione per regione), e per soli tre giorni, un film eccezionale che ho avuto la fortuna di vedere in anteprima al Lucca Comics & Games 2018: Zombie contro Zombie. Non lasciatevi sviare dalla pessima traduzione del titolo, che in originale è One Cut of the Dead: in italiano dovrebbe suonare più o meno Il piano sequenza dei morti viventi. Non solo chi ama il cinema (non solo quello di genere), ma in generale chiunque apprezza l’intelligenza nel saper raccontare una storia, deve vedere questo piccolo, esilarante capolavoro. Le ragioni le ho spiegate (senza spoiler) nella recensione che ho scritto per FantasyMagazine, e che pubblico anche qui.

Il piano sequenza dei morti viventi

Una sgangherata troupe giapponese gira un B-Movie sui morti viventi in un vecchio stabilimento abbandonato in mezzo alla campagna. Il regista Higurashi, disgustato per la penosa performance dei suoi attori, al quarantaduesimo ciak fallimentare della scena madre si sfoga sui protagonisti e interrompe le riprese. Durante la pausa, il set viene assalito da una vera apocalisse zombie: mentre attori e staff sono variamente colpiti, chi dall’infezione, chi dal panico, Higurashi coglie l’occasione per salvare il film riprendendo il tutto.

Dopo 37 minuti di piano sequenza (one cut) scorrono i titoli di coda. Nell’ora di film successiva questa operazione apparentemente tanto assurda quanto futile acquista man mano senso e profondità, chiudendosi alla fine in un cerchio perfetto.

Il compianto Vittorio Curtoni organizzò per anni un concorso che premiava il racconto più brutto (la Sviccata: un giorno con Mauro Vanetti pubblicheremo il racconto a quattro mani che scrivemmo per la sua ultima edizione, rimasta incompiuta). Il senso dell’iniziativa era mostrare quanto, per scrivere di proposito un’opera scadente, fosse necessaria un’abilità e una padronanza tecnica non inferiore – e forse perfino superiore – a quella che occorre per comporne una di pregio. Il regista Shinichiro Ueda tiene con One Cut of the Dead, il suo primo lungometraggio, una vera e propria lezione su questo stesso concetto.

La prima mezzora abbondante del film è davvero costruita come un B-Movie: trama pressoché inesistente, sceneggiatura minimale, recitazione imbarazzante. Insomma, una specie di Planet Terror meta-cinematografico in salsa nipponica. Ma lo straordinario virtuosismo tecnico con cui vengono girati questi primi 37 minuti, tutti in una sola lunghissima e complicatissima sequenza, con continui cambi di ritmo e di ambiente, rivela che il senso dell’operazione di Ueda è ben diverso da quello di Robert Rodriguez. In effetti, One Cut of the Dead non solo non è un omaggio filologico ai film di genere, ma non è affatto un film sugli zombie (da qui il disappunto per la scelta dei distributori italiani di renderlo con uno scialbo e poco pertinente Zombie contro Zombie): è piuttosto una storia che parla in modo brillante del cinema e della passione che muove chi lo fa. Lo spettatore lo scopre a poco a poco in un crescendo di epifanie, grazie soprattutto a scelte di montaggio davvero felici. E’ proprio questa la chiave che rende irresistibili – da lacrime agli occhi! – le gag che scandiscono in particolare la seconda parte del film, quella in cui si ride non più come per un buffo brutto film di zombie, ma come chi finalmente capisce il gioco in cui ci sta coinvolgendo l’autore.

Girato con quattro soldi grazie a un crowdfunding, la pellicola è rimasta confinata a una distribuzione di nicchia anche in Giappone finché, diversi mesi dopo la sua uscita nel novembre 2017, ha riscosso uno strepitoso successo al Far East Film Festival di Udine nella primavera successiva, iniziando così una seconda vita internazionale. Un successo replicato alla proiezione del Lucca Comics and Games 2018, terminata con un lungo, fragoroso e meritatissimo applauso.

Cinque stelle possono sembrare un voto esagerato solo per chi non ha visto il film.

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