Si vis pacem para pacem

Che fine ha fatto l’Avvocato Laser?

In questi ultimi due mesi è stato un po’ soverchiato dagli eventi, soprattutto dal lavoro: ogni volta che stavo per scrivere qualcosa capitava un qualche contrattempo e così tra gennaio e febbraio non sono riuscito a commentare nulla sulla nuova disciplina “contro le delocalizzazioni”, né a recensire (si fa per dire) un paio di film che mi hanno colpito, né a raccontare di un’installazione affascinante visitata alla Fondazione Prada.

Poi è scoppiata la guerra, e mi sono bloccato. Non riesco a scrivere di nulla, se prima non affronto questo tema, che ovviamente non mi lascia per nulla indifferente, come essere umano ma anche come militante di un’organizzazione marxista e rivoluzionaria. E forse per la prima volta in tanti anni ho timore di sbagliare la bracciata nell’affrontarlo, di non essere capace di esprimere in modo sufficientemente chiaro l’opinione che mi sono formato in queste settimane.

Per fortuna, lo ha fatto l’editoriale dell’ultimo numero di Rivoluzione, uscito nei giorni scorsi, che potete (dovete!) leggere qui. Per una volta, dunque, mi faccio un poco da parte e mi limito a sintetizzare quanto scritto (meglio) dall’organizzazione di cui sono particolarmente orgoglioso di fare parte.

L’invasione russa dell’Ucraina indiscutibilmente ha un carattere profondamente reazionario, colpisce in maniera vergognosa la popolazione civile ucraina e contribuisce a seminare il veleno nazionalista tra i popoli.

Ecco, tanto per non lasciare spazio a dubbi. Non ci sono giustificazioni per l’invasione russa e in generale per l’azione di Putin, che consideriamo un nemico non solo della popolazione ucraina, ma della popolazione di tutto il mondo e in primis della Russia.

Ma il fatto di non giustificare non toglie che sia comunque necessario capire il perché di questa guerra, senza ricorrere a semplificazioni o slogan. La guerra non è dovuta alla “pazzia” di Putin, ma è il prodotto di uno scontro tra due campi imperialisti in lotta per espandere ciascuno la propria influenza a danno dell’altro.

Quella che vediamo non è quindi una partita a due tra la grande Russia e la piccola Ucraina, ma una guerra di potenza tra l’imperialismo occidentale da una parte e quello russo dall’altra, che ha l’Ucraina come campo di battaglia. Uno scontro sanguinoso in cui la Russia mette le proprie truppe, mentre gli USA e la UE mandano avanti gli ucraini a combattere al loro posto. è del tutto naturale che gli ucraini vogliano combattere per difendersi dall’invasione russa, ma è fondamentale capire che, in questo contesto internazionale, il loro sangue verrà inevitabilmente versato non in nome dell’indipendenza nazionale, ma nell’interesse delle borghesie americane ed europee.

Mentre è necessario offrire tutta la solidarietà possibile alle vittime della guerra, e certo non soltanto a parole ma con aiuti economici e logistici, non c’è invece davvero nulla da scegliere tra i due veri contendenti, tra il governo russo e i governi dei paesi della NATO, compreso il nostro.

La questione decisiva, e anche la più delicata, riguarda l’invio di armi all’esercito ucraino. Secondo la posizione “interventista”, si tratta di aiutare gli ucraini a resistere militarmente contro l’invasione russa. È una posizione che non condivido per molti motivi.

Naturalmente non si tratta di negare il diritto del popolo ucraino a difendersi. Si tratta però di comprendere in primo luogo che non è sul piano militare che questa vicenda troverà una soluzione accettabile. Armare ulteriormente l’Ucraina (più di quanto non lo sia già stata negli anni passati, soprattutto dagli USA) non solo non salverà vite, ma contribuirà a prolungare il conflitto provocando stragi e devastazioni maggiori. E verosimilmente creerà i presupposti per ulteriori conflitti in futuro, in un contesto che inevitabilmente sarà per anni di odio reciproco tra confinanti, e in cui oltretutto gli armamenti finiranno con ogni probabilità in gran parte agli elementi più nazionalisti e potenzialmente incontrollabili dell’esercito ucraino.

Questo a prescindere da come e quanto l’invio di armi inciderà effettivamente sull’esito finale di questa guerra, o da quanto potrà spostare i termini dell’eventuale armistizio che la concluderà: sono troppe le variabili per poter fare previsioni attendibili, e a maggior ragione per fondare su queste previsioni scelte economiche e politiche di simile gravità.

In secondo luogo, infatti, il riarmo ha un costo sociale che paghiamo tutti.

Dopo anni a tagliare la spesa pubblica per la sanità, la scuola e le pensioni, e mentre le famiglie di lavoratori devono lottare contro l’aumento dei prezzi, i governi europei stanno investendo somme enormi in armamenti.

Nei giorni scorsi la Camera ha approvato l’impegno ad aumentare le spese militari di circa 8 miliardi di Euro. Questo in un momento in cui bisognerebbe invece aumentare i salari e investire nei servizi pubblici, anche per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia prima e della guerra poi. Lo stesso vale anche per gli altri paesi europei (in primis la Germania, che ha stanziato 100 miliardi per il riarmo!)

Un discorso simile vale anche per le sanzioni economiche invocate nei confronti della Russia. Sbandierate come uno strumento per “punire” Putin e gli altri oligarchi, dietro la patina delle confische appariscenti degli yacht di lusso (e delle squadre di calcio: ma anche qui ci sarebbe da discutere su chi ci perda davvero) c’è una realtà di provvedimenti che finiscono per colpire quasi esclusivamente la povera gente – tra licenziamenti di massa, carenza di beni necessari e inflazione incontrollata.

Se l’obiettivo dichiarato è quello di indebolire il regime di Putin per costringerlo a ritirarsi, non c’è davvero alcuna garanzia che il mezzo sia coerente con il fine. Semmai, l’Occidente che affama il popolo russo può rivelarsi un formidabile strumento di propaganda per il tiranno, e allontanare la fine della guerra invece di avvicinarla, isolando oltretutto quei settori della società russa che in queste settimane, con autentico coraggio, stanno sfidando la repressione del regime per manifestare contro il proprio governo.

Ma soprattutto, misure che hanno lo scopo di ridurre un popolo alla fame non sono in nulla diverse da attacchi militari diretti, e non possono che preparare il terreno per nuovi conflitti in un futuro prossimo.

Questo senza contare il fatto che queste stesse sanzioni hanno effetti dirompenti non solo sull’economia russa, ma anche sulla nostra, con il rincaro dei beni di prima necessità e dell’energia – che tutti stiamo già sperimentando – che ancora una volta colpisce i meno abbienti.

Ma allora come si esce da questa tragedia?

La classe lavoratrice russa è l’unica che può abbattere Putin e porre fine a questa guerra; e solo in essa possiamo riporre la nostra fiducia, non certo nelle politiche ipocrite dell’imperialismo americano e dei suoi alleati europei.

Ogni altra soluzione, purtroppo, è destinata solo a peggiorare le cose.

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