Vietato licenziare (ma…)

Quest’anno ho chiuso lo studio senza salutarvi prima delle vacanze. Scusate.

Il fatto è che fare un bilancio di quest’annata (da settembre ad agosto, come il campionato) è davvero difficile: come tutti, mi sono fermato – o perlomeno ho rallentato molto e proseguito in modo completamente diverso dal consueto – per un paio di mesi; al rientro, è stato come tornare dalle vacanze senza aver fatto le vacanze. Ma questo lo sapete anche voi.

La ripartenza è stata macchinosa e faticosa, lenta fino quasi a fine giugno. Non inoperosa, no: c’era soprattutto da riannodare i fili delle controversie interrotte dal lockdown e rimaste per settimane nel limbo dell’attesa, da riorganizzare l’attività per gestire udienze da remoto o per iscritto; e c’era da tenersi aggiornati su una normativa che cambiava dalla sera alla mattina, tra decreti ministeriali, decreti-legge, leggi di conversione, e le relative interpretazioni.

Poi è come se fosse scattato qualcosa: non nella mia testa, ma proprio nella società, o quantomeno nella parte di società su cui si affaccia la mia attività. Il telefono è tornato a squillare con più insistenza, le mail ad arrivare più copiose, l’agenda a riempirsi. Ho potuto assistere a uno spaccato sempre più significativo del lavoro “dopo il Covid”: un profluvio di stipendi non pagati, finte collaborazioni, sanzioni disciplinari pretestuose, mancate rotazioni in cassa integrazione, etc..

Abbastanza da confermare quel che ho sempre pensato: che per quanto le tutele legali dei lavoratori possono diminuire – e sono diminuite parecchio nei quindici anni da quando ho iniziato a occuparmene! – gli abusi illegali rimarranno sempre costanti, solo scendendo (o salendo, a seconda dei punti di vista) di pari misura. Della serie: se si concede loro un dito, i padroni si prendono tutto il braccio.

Così, non appena il lavoro è ripartito, con tutte le limitazioni del caso, sono ripartiti anche gli abusi e le richieste di assistenza. Così l’inizio di agosto, invece di essere come negli altri anni un periodo tranquillo in cui fermarsi a ragionare di bilanci e prospettive, si è rivelato un periodo “caldo” in tutti i sensi. Il telefono ha continuato a squillare anche sotto Ferragosto e me lo sono portato dietro (a proposito, il numero è 351 8793379) insieme al PC, per essere reperibile, ad esempio da quei lavoratori che quest’anno si sono viste le ferie cancellate (perché erano state illegittimamente scalate nelle prime settimane di lockdown) e stanno lavorando anche in pieno agosto.

Anche per questo, forse, non è ancora il momento giusto per tracciare un bilancio dell’annata. Anche perché le novità continuano ad arrivare pure dal governo. L’ultima è il decreto pubblicato il 14 agosto, attesissimo soprattutto perché pochi giorni dopo, il 17, sarebbe scaduto il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Vediamo in breve come è cambiata la normativa.

Il decreto ha innanzitutto esteso la possibilità per tutte le imprese di ricorrere alla cassa integrazione, incrementandola di ulteriori diciotto settimane fino al 31.12.2020: le prime nove sono “gratis”, per le successive è richiesto al datore di lavoro il pagamento di un contributo pari al 9 o al 18% della retribuzione per le ore non lavorate, a seconda che abbia subito o meno, nel primo semestre 2020, perdite di fatturato rispetto al semestre corrispondente del 2019; solo se il calo del fatturato è superiore al 20% non è dovuto alcun contributo.

In alternativa, le imprese che non intendono richiedere le ulteriori settimane di cassa integrazione ricevono un esonero contributivo per un periodo pari al doppio delle ore di cassa integrazione utilizzate in maggio e giugno (perciò possono accedere a questo beneficio solo le imprese che in maggio e giugno hanno usufruito della cassa), dunque per un massimo di quattro mesi fino al 31.12.2020.

I licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e i licenziamenti collettivi sono vietati fino al completo utilizzo delle diciotto settimane di cassa integrazione (comprese quelle “a pagamento”) oppure fino al termine del periodo di esonero contributivo alternativo alla cassa integrazione. Continuano a essere vietati fino al 31 dicembre 2020 per tutti i datori di lavoro che non utilizzano la cassa integrazione né beneficiano dell’esonero contributivo.

Di fatto, il termine cambia azienda per azienda e per un lavoratore (e di conseguenza per il suo avvocato) diventa più complicato stabilire se il licenziamento è almeno astrattamente consentito – altro poi è valutare se il licenziamento teoricamente consentito sia anche in concreto legittimo – oppure no.

Dal mio punto di osservazione, posso fare due previsioni: primo, che non saranno pochi i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati in violazione di un divieto dai confini tanto incerti; secondo, che saranno comunque molti di più i tentativi di “aggirare” il divieto, con licenziamenti disciplinari (non vietati ma) pretestuosi, trasferimenti ritorsivi e tutto l’armamentario di piccole e grandi vessazioni di cui dispongono i datori di lavoro quando vogliono liberarsi di dipendenti sgraditi.

Se c’è una cosa di cui sono convinto, è che in autunno ci sarà da stare all’erta.

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