Morire per soldi (degli altri)

Con la spettacolare demolizione dei resti del Ponte Morandi di Genova si è riaperta qualche giorno fa, in sordina, la discussione sull’opportunità di nazionalizzare le autostrade: opzione difesa – naturalmente solo a parole – da esponenti del M5S e contrastata con forza dalla Lega.

Il decennale della strage ferroviaria di Viareggio, caduto lo scorso sabato, offre l’occasione per chiarire che la proprietà pubblica dei settori strategici dell’economia è necessaria ma di per sé non sufficiente a garantire la tutela degli interessi dei lavoratori di quel settore e dei cittadini tutti; occorre invece soprattutto che la gestione sia improntata non al profitto ma unicamente all’interesse collettivo.

Sono ancora perfettamente valide le considerazioni che scrissi esattamente dieci anni fa, all’indomani della strage, in un post che merita di essere condiviso per intero.

Da allora molte cose sono successe: innanzitutto il numero delle vittime è salito a 32. Poi, circa un anno dopo il disastro, Mauro Moretti, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, è stato insignito dal Presidente della Repubblica Napolitano del titolo di Cavaliere del Lavoro: un’onorificenza che premia coloro che, tra l’altro, hanno tenuto una specchiata condotta civile e sociale.

Mauro Moretti è stato condannato in primo grado e – poche settimane fa – in appello a sette anni di reclusione per disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni personali. Insieme a lui gli altri vertici di Ferrovie dello Stato, Rete Ferroviaria Italiana e Trenitalia, compreso Michele Mario Elia, attualmente country manager del gasdotto Tap per l’Italia; e ancora, i vertici delle società che si occupavano della revisione dei carri merci e quelli di Gatx, la società americana (o meglio le sue succursali in Germania e Austria) proprietaria del vagone. Lo scaricabarile, dunque, almeno questa volta non ha funzionato.

Questo spiega anche perché i padroni di ArcelorMittal, a Taranto, pretendano l’immunità penale, minacciando altrimenti di licenziare migliaia di lavoratori dell’Ilva.

Dieci anni ci sono voluti per la sentenza di appello, altri occorreranno per la Cassazione, prima che le condanne diventino definitive. Altrettanti ce ne vorranno per le sentenze legate al crollo del Ponte Morandi: non possiamo aspettare che per tutto questo tempo i Benetton e compagnia continuino a pasteggiare con il sangue dei lavoratori e dei cittadini: dobbiamo lottare da subito per espropriare questi vampiri e conquistare la gestione pubblica e nell’interesse comune delle infrastrutture dei trasporti e delle altre industrie strategiche nazionali.

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