Articolo 18: la resa dei conti

Tutto si può dire stavolta, tranne che non siano chiari. Se qualcuno ancora nutriva illusioni sulla scarsa pericolosità del decreto, ci ha pensato ieri la Commissione Bilancio del Senato a fugarle, con una serie di emendamenti mirati che rendono esplicite le minacce contenute nell’art. 8 della manovra di Ferragosto, cercando anche di blindarlo contro possibili rischi di incostituzionalità.

Ecco il cuore della modifica:

“Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 [ossia gli accordi di cui stiamo parlando] operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi di lavoro.”

Tra le materie richiamate, lo ricordiamo, c’è anche il licenziamento e in generale la cessazione del rapporto di lavoro. In parole povere, la tutela dell’articolo 18 dello Statuto contro i licenziamenti illegittimi diventa derogabile, e quindi è esattamente come se non esistesse più. Sarà affidata alla contrattazione azienda per azienda, con il risultato che, nei posti di lavoro in cui la rappresentanza sindacale è più debole o più ricattabile, i datori di lavoro potranno licenziare senza giusta causa in cambio di due noccioline, senza più il rischio di dover reintegrare il dipendente indesiderato.

Lo stesso vale per i contratti precari, per i quali si potrà tranquillamente “concordare” di ignorare i limiti e le sanzioni previsti dalla legge, rendendo vane le azioni giudiziarie per farne valere la nullità.

Consola poco che l’inderogabilità venga estesa al licenziamento delle donne in gravidanza: la modifica era indispensabile per superare il vaglio della Corte Costituzionale, ma inciderà ben poco nel mare di precarietà, umana oltre che lavorativa, che questa norma, se verrà approvata, è destinata a provocare.

Parla con lingua biforcuta Raffaele Bonanni, segretario della CISL, quando dice che non bisogna preoccuparsi perché “Nessun sindacato firmerebbe mai un accordo per licenziare i lavoratori”. E quando arriverà il Marchionne di turno a pretendere una clausola del genere minacciando altrimenti di spostare altrove la produzione? La realtà, che è ovvia per chiunque abbia mai lavorato per qualcun altro, è che l’unico argine al potere di ricatto del datore di lavoro è la legge e la contrattazione collettiva nazionale, condotta dal sindacato da una posizione di forza relativa. Tutto il resto è menzogna e ipocrisia.

Come assolutamente ipocrita è la levata di scudi di una parte del Partito Democratico contro questa norma: come se non fossero depositati in Parlamento svariati progetti di legge che prevedono uno smantellamento del tutto analogo dell’articolo18! Ma se perfino tra gli emendamenti a questo stesso articolo 18 ce ne sono diversi che ripropongono la stessa identica minestra, soltanto condita in modo leggermente diverso!

Non servirà a nulla cacciare questo Governo se il suo successore avrà il volto di Pietro Ichino! A partire dallo sciopero generale di domani bisogna invece costruire dal basso una vera alternativa politica, che tolga il destino di milioni di lavoratori e di precari dalle mani di questi imprenditori avidi e straccioni, e da quelle dei loro amici che oggi stanno appollaiati in tutti gli scranni del Parlamento.

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5 comments

  1. Alla fine era solo questione di tempo. Ci avevano già provato e quando avevamo la possibilità di dire la nostra tramite referendum, l’astensionismo è stato imbarazzante.

  2. Per la verità, anche quando ci hanno provato loro con il referendum sono rimasti suonati.
    In ogni caso, inutile piangere sul latte versato: c’è da rimboccarsi le maniche qui e ora, e la mia sensazione è che in tantissimi siano pronti a darsi da fare.

  3. Anch’io ho la sensazione che siamo sempre di più, pronti a darsi da fare.
    C’è solo da aumentare la comunicazione trasversale: mails, blog, social network, vista la zero percezione che se ne ha leggendo quotidiani, anche in rete e anche i teoricamente meno asserviti.
    E’ tempo ora.
    Fra un po’ rischia di essere troppo tardi.
    Lasciamogli fare un governo tecnico e ci faranno ingoiare altre nefandezze senza neppure il rischio di doversene assumenre la responsabilità politica.

  4. non fosse per le lodi al “fasullo sciopero della camuffo”, che altro non è stato che una sorta di regolamento dei conti interno con la fiom, oltre che un chiaro segnale di debolezza contro la manovra e i suoi contenuti, a partire dal famoso art. 8, cui anche la cgil aveva insieme a cisl-uil-ugl aperto le porte del serraglio con il terribile accordo del 28 giugno, apprezzerei e condividerei in ogni sfumatura quanto sopra riportato
    walter cub

  5. Ciao Walter, come puoi leggere nel post appena pubblicato – oltre che in diversi precedenti e in particolare sul commento all’accordo del 28 giugno – non nutro alcuna illusione nella Camusso, e sono anche abbastanza d’accordo nel ritenere che il tira e molla di quest’estate sia stato fatto anche per indebolire la FIOM.
    Attenzione però: a differenza della Camusso, i lavoratori che sono scesi in piazza il 6 settembre hanno dimostrato di voler ben altro che l’applicazione dell’accordo-truffa del 28 giugno. Sulla voglia (naturalmente frutto di esasperazione) di queste persone – milioni, compresi quelli che non avevano la possibilità di scioperare perché sono precari – può e deve essere costruito un movimento di base, radicale e democratico, che non mancherà di spazzare via anche Camusso e soci.
    Andare in un’altra piazza, o non andarci affatto come mi pare abbia scelto la CUB il 6 settembre, è un errore perché mostra sfiducia non soltanto verso la dirigenza della CGIL (sfiducia sacrosanta) ma anche nei confronti dei tantissimi lavoratori che il 6 settembre invece erano in corteo.

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