La sinistra di destra

Il marxismo è l’unica forma di cinismo ottimista.

A pagina 163 del suo libro La sinistra di destra (ed. Alegre, 239 pagine, 15 Euro) Mauro Vanetti regala questa perla: una singola frase che fornisce una chiave di lettura efficace non solo del libro stesso, ma in generale del marxismo.

Mauro ha scritto un’analisi davvero (e da vero) marxista, basata sul metodo del materialismo dialettico, delle principali correnti politiche che, partendo da qualche punto nel campo della sinistra, sono finite più o meno rapidamente e più o meno apertamente nel campo della destra – in alcuni casi senza nemmeno abbandonare riferimenti di facciata (e del tutto distorti) alla fraseologia del marxismo.

Con una definizione che non avrà valenza scientifica, ma rende perfettamente il concetto, ha descritto da un lato una “vecchia sinistra di destra”: quella che, proveniente dai fasti del PCI, ha abbracciato da tempo l’ideologia liberale e la dottrina dell’austerità, diventando il PD e i suoi satelliti. Questa “ex-sinistra” ha promosso per oltre due decenni una guerra senza quartiere contro i diritti degli oppressi (lavoratori, migranti, donne, etc.) ma sempre argomentando che tutte queste riforme – specialmente quelle che hanno favorito la precarietà e l’impoverimento del lavoro – sono indispensabili e le uniche davvero “di sinistra”.

A questo schieramento appartengono i censori degli “analfabeti funzionali”, quelli secondo cui ad alcuni cittadini (tipicamente chi non vota, come invece fanno loro, per i partiti che sono stati in prima fila nell’attaccare le condizioni di vita degli oppressi) dovrebbe essere negato il diritto di voto, quelli che scherniscono i poveri che, disperati, hanno riposto le proprie speranze nel Reddito di Cittadinanza. Gente che si considera ancora “di sinistra”, ma che di fatto sostiene argomenti e posizioni che sono evidentemente di destra.

Dall’altro lato c’è la “nuova sinistra di destra”, che ha raccolto in parte i settori abbandonati e attivamente traditi da quella vecchia, sdoganando interclassismo (populismo) e nazionalismo (sovranismo) e portandoli fino alle loro logiche conclusioni: una fasulla unità nazionale che conduce una battaglia altrettanto finta contro le istituzioni finanziarie europee e mondiali, ma che porta avanti invece una lotta concretissima contro i più deboli. Il tutto senza farsi mancare neppure delle “puntate” sul terreno della misoginia e dell’omofobia.

Sono i Fusaro, e molto più pericolosamente (dal momento che parliamo di un senatore – leghista – e forse futuro ministro della Repubblica) i Bagnai, che utilizzando una fraseologia che fa apertamente riferimento al marxismo (l’immancabile citazione dell'”esercito industriale di riserva”) – e dunque fa appello e raccoglie consensi nel campo della sinistra – sono passati armi e bagagli nel campo della destra più reazionaria.

Ma sono anche i Fassina e i Rizzo, che pur sventolando bandiere rosse propagandano una sorta di “razzismo con la calcolatrice”, che si distingue in parte nella forma ma è identico nella sostanza a quello puro e semplice della destra vera e propria: gli stranieri non devono venire in Italia, secondo costoro, non in quanto razza inferiore, ma perché così facendo abbassano automaticamente i salari dei lavoratori italiani. È una specie di paralogismo (o meglio un sofisma) basato sulla premessa errata che i lavoratori immigrati non siano o non possano essere a loro volta soggetti attivi della lotta di classe per difendere le condizioni di vita e i salari di tutti i lavoratori. Uno sragionamento a suo tempo (ma in effetti ancora oggi) applicato anche alle donne lavoratrici.

Vecchia e nuova sinistra di destra, pur approdando a posizioni apparentemente inconciliabili, nascono dallo stesso presupposto: la sfiducia verso la capacità della classe lavoratrice, nel suo complesso e in ciascuna delle sue componenti (di volta in volta le donne, i precari, i migranti), di prendersi carico del compito storico di cambiare la società. È questo il pessimismo di cui, per contrasto con l’ottimismo dei marxisti, parla Mauro. Le varie forme assunte dalla sinistra di destra in fondo non sono che tentativi di “fare a meno” della classe lavoratrice da parte di chi ha perso la speranza nella sua capacità di lottare: o sostenendo che semplicemente non esista, o riducendola a una mera articolazione di secondaria importanza di categorie come il “popolo” o la “nazione” (il che, a ben guardare, è poi lo stesso).

Tutte queste concezioni sono destinate al fallimento: al dunque, nella realtà, la contrapposizione tra gli interessi di classe è molto più forte della contrapposizione tra interessi “nazionali”, che spesso non esiste affatto. La fiducia dei marxisti nella capacità della classe lavoratrice di combattere la lotta di classe risiede proprio nell’analisi della realtà. Certo, l’analisi non basta: per essere vittoriosa, la classe deve organizzarsi attorno a un programma e a idee corrette: “ci serve una sinistra di sinistra“.

Nella migliore tradizione della letteratura marxista, il libro di Mauro combina l’utilizzo rigoroso di dati e fonti con una esposizione divulgativa, il tutto impastato con il registro dell’ironia e del sarcasmo, il cinismo ottimista di cui si diceva: ironia rivolta non contro i deboli (quello è il cinismo pessimista dei liberali) ma contro i potenti e i loro araldi. Il risultato è una lettura davvero interessante, divertente, utile.

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