Chi non lotta ha già perso

Organize

Ricordate la Lasme 2 di Melfi? Probabilmente no, quindi vi rinfrescherò la memoria.

Nell’estate 2009, tutti i 174 dipendenti dello stabilimento, che produceva componenti per auto, soprattutto FIAT, vennero licenziati in blocco. Dopo una lotta sofferta, con l’aiuto decisivo della UIL, che si comportò come vero e proprio sindacato giallo, il fronte degli operai venne spezzato e fu firmato un accordo che prevedeva l’immediata riassunzione di una settantina di lavoratori in una nuova azienda creata ad hoc, la Incomes (che in inglese significa, non a caso, “incassi”). Agli altri sarebbe stata offerta una miserabile buonuscita, e chi non l’avesse accettata sarebbe stato messo in cassa integrazione, con la promessa, da parte dell’azienda e della Regione Basilicata, di essere assorbito o ricollocato altrove entro due anni.

Le cose però erano andate un po’ diversamente: alla fine dei due anni, infatti, solo una decina dei cassintegrati era tornata in fabbrica, mentre per gli 82 rimasti in cassa non era stato trovato nessun impiego. L’avevo raccontato qui, lanciando un parallelo con l’analoga vicenda che aveva colpito la Elnagh di Trivolzio, vicino a Pavia.

Qualcuno penserà che, perlomeno, erano stati salvati 80 posti di lavoro. Sembra invece che qualcosa continui a non tornare… I primi indizi di questa eventualità li avevo appresi già un anno dopo la nascita di Incomes, leggendo il racconto di Anna, che ne parlava così:

Da quello che ho capito questa INCOMES fornisce solo manovalanza, fa capo a un tizio apparentemente estraneo ai Pellegri, i quali mantengono la proprietà dello stabilimento e dei macchinari affidandone la gestione appunto alla INCOMES. Il capitale sociale della new co. ammonta addirittura a 10.000 Euro. Il tutto si ‘appoggia’, non so in che senso, a una finanziaria di Milano.

I presupposti per la fregatura, insomma, c’erano tutti. Poi, ad agosto di quest’anno, quel post ha ricevuto questo criptico commento:

E mica finisce qua…… la storia si ripete nemmeno dopo 3 anni…… ITALIA DI MERDA

Pur avendole cercate, non ho trovato però in rete informazioni aggiornate che chiarissero lo sfogo, fino a oggi, quando sul sito della Regione Basilicata ho trovato due brevi notizie. La prima, datata 10 ottobre, riporta che “Per il mancato pagamento di due mensilità arretrate, dei contributi previdenziali Inps e Cometa e del trattamento di fine rapporto, le segreterie regionali di Fim-Cisl e Uilm-Uil e la Rsu di stabilimento hanno proclamato per oggi otto ore di sciopero alla Incomes, azienda dell’indotto Fiat di Melfi, con circa 80 addetti. Lo si apprende da un comunicato delle due organizzazioni di categoria“. Non deve stupire l’assenza della FIOM da questa vertenza: fu di fatto estromessa dalla nuova azienda dopo la firma dell’accordo del 2009 ad opera degli altri sindacati confederali. Ed è un’ironia della sorte che siano proprio i sindacati responsabili della sconfitta di 4 anni fa (in particolare la UIL) a protestare adesso – e mi immagino con quanta efficacia.

La FIOM ha preso posizione con un comunicato di oggi, riportato sempre sul portale della Regione Basilicata: “L’azienda ha confermato la situazione finanziaria precaria del gruppo, aggravata dal fatto che non sono state acquisite le due nuove commesse relative allo stabilimento di Melfi. A darne notizia è la Fiom Cgil Basilicata che in una nota rimarca il fatto che oltre alla mancata retribuzione [dall’inizio dell’anno, si apprende nel comunicato della Regione!], mancano all’appello anche il premio di produzione, l’accantonamento del fondo pensione e i contributi. Pertanto l’organizzazione sindacale di categoria ha chiesto un piano industriale che garantisca i livelli occupazionali che già sono stati dimezzati (80 lavoratori) con il piano di ristrutturazione del 2008 [in realtà è del 2009] ex Lasme 2“.

Dunque, sembra che il cerchio si stia chiudendo anche per quei dipendenti “salvati” al primo giro. L’azienda ha prima indebolito il fronte, e di molto, dimezzando il numero dei lavoratori e tagliando proprio quelli più combattivi, che non si sono prestati al ricatto nel 2009. Adesso, di fronte a una forza lavoro ridotta e meno capace di opporre resistenza, porta a termine il progetto che aveva iniziato quattro anni fa: chiudere lo stabilimento e possibilmente trasferire i macchinari altrove. Al proprietario è bastato avere pazienza, e di certo, con tutti i profitti che si è intascato negli anni, di fretta non ne aveva. Chi rimane in mutande invece sono i lavoratori: la differenza fra quelli che hanno lottato (e perso) e quelli che hanno chinato il capo al ricatto padronale (e hanno dato retta ai consiglieri sbagliati), a conti fatti, non si vede.

Certo, non si può sapere come sarebbe andata a finire se gli operai della Lasme 2 avessero tenuto duro, tutti uniti, nell’autunno del 2009: è possibile che non sarebbe cambiato nulla e prima o poi l’azienda l’avrebbe comunque spuntata; magari invece, con la solidarietà dei lavoratori degli stabilimenti vicini, sarebbe stato il padrone a dover cedere, come è successo a Modena con la Terim.

Dalle sconfitte c’è da imparare più che dai successi: mi piacerebbe che la sconfitta dei lavoratori della Lasme 2 di Melfi – tutti quanti, alla fine – potessero imparare i lavoratori di tutte le aziende sotto ricatto di chiusura o di tagli, a partire dalla Merck di Pavia. Solo lottando uniti si può vincere; altrimenti, presto o tardi, vince sempre il padrone, italiano o straniero che sia.

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