Calci e sputi e colpi di testa

Questo inizio d’anno va così: ho infilato un paio di letture affascinanti e le voglio consigliare, tanto la campagna elettorale è noiosa e non interessa a nessuno. Dopo i pirati dei Caraibi in versione Evangelisti, ecco un libro davvero particolare, riemerso dalle nebbie del tempo soprattutto grazie agli amici di Fútbologia (ma in effetti ancora prima grazie a Filippo Casaccia su Carmilla).

Calci e sputi e colpi di testa è il libro scritto da un compagno, Paolo Sollier, che negli Anni Settanta ha fatto di mestiere il calciatore professionista. Racconta, a tinte vivacissime, la sua esperienza di uomo, di attivista politico nell’estrema sinistra e di giocatore negli anni in cui ha vissuto a Perugia e al Perugia. La parte più strettamente biografica è suggestiva, divertente e dissacrante, esaltata da uno stile schietto ma tutt’altro che povero, e perfettamente funzionale al contesto. Il cuore del racconto sta proprio nel confronto costante del calciatore con il militante Paolo Sollier, nell’idea forte che sia possibile, e assolutamente naturale, vivere la dimensione personale, quella professionale e quella politica senza alcuna contraddizione:

Migliaia di persone fanno politica, vanno nei campi di lavoro e vivono nelle comuni. Se c’è stupore perché un calciatore fa queste cose è perché il mondo del calcio è in ritardo rispetto al mondo reale.

Ecco la chiave di lettura più interessante: il calcio non è un universo a sé, ma è totalmente inserito nel “mondo reale”, anche se gli attori che si muovono su quel palcoscenico – calciatori, dirigenti, giornalisti, etc. – non se ne rendono conto, o piuttosto fingono che non sia così. Invece, un fenomeno che coinvolge decine di milioni di italiani non solo appartiene al mondo reale, ma è “politico” per eccellenza. Oggi esattamente come 40 anni fa – pochi libri vantano un’attualità tanto duratura! – chi grida che “la politica deve rimanere fuori dagli stadi”, al meglio è un ingenuo, ma solitamente è un destro in malafede.

Del resto, non è forse “politica” la violenza, o il razzismo negli stadi?

La violenza allo stadio cammina mano nella mano con la violenza sociale. Sono parenti. Una genera l’altra. E finché questa società non si trasforma, i guai allo stadio ne saranno uno dei tanti specchi.

Come si può pensare che non ci sia nessun collegamento fra gli insulti a un giocatore di colore, magari della squadra di Berlusconi, e le leggi varate dallo stesso Berlusconi che consentono di rinchiudere un immigrato in Centri di Identificazione ed Espulsione? Suggerire che il problema della violenza e del razzismo negli stadi possa essere risolto con una maggiore repressione dentro lo stadio, come se fuori dallo stadio tutto andasse bene, è soltanto un modo di nascondere i veri responsabili che hanno reso la società sempre più violenta e razzista. I responsabili sono i governi e le amministrazioni locali sia di destra che di centrosinistra: la differenza fra il sindaco leghista di Corbetta, Antonio Balzarotti, che in televisione si lascia scappare che “fare buu a un negher sarà mica reato“, e l’ex sindaco piddino di Pavia Piera Capitelli che a suon di ordinanze cacciava i rom da Pavia mettendoli letteralmente in mezzo a una strada, è forse di forma, ma di sicuro non di sostanza.

Se il clima sociale influenza il modo in cui è vissuto lo sport, d’altra parte, proprio perché lo sport non è un compartimento stagno potrebbe contribuire al rinnovamento della società: questo è un altro degli spunti offerti da Sollier, che prova a tracciare le linee fondamentali di un possibile “programma di transizione”, lamentando giustamente che la sinistra, sia quella “istituzionale” che quella estrema, abbia sempre evitato questo terreno, “per una questione di priorità ma anche di incapacità“. Eppure il concetto è semplice:

Lo sport, tra chi lo pratica (pochi), chi lo tifa (troppi) e chi lo subisce, coinvolge tutti. Dunque bisogna dire che appartiene a tutti e che devono esistere nei quartieri le attrezzature per sudare, per migliorare la salute, per divertirsi.

Perciò occorre rivendicare un piano di investimenti pubblici per la costruzione di strutture gratuite, per la formazione di docenti e istruttori, per l’avviamento allo sport non soltanto di “chi se lo può permettere”, ma di tutti, fin dalla scuola, soprattutto a partire dalla scuola. L’obiettivo, in questo campo specifico, è di avere più sportivi e meno “tifosi”; ma in generale si intreccia inscindibilmente con l’istanza di un sistema scolastico pubblico, gratuito e di qualità. Peccato che, nei 36 anni trascorsi dalla prima pubblicazione del libro, i finanziamenti alla scuola statale siano diminuiti vertiginosamente invece che aumentare, e verosimilmente di pari passo sia peggiorato l’ambiente all’interno degli stadi.

C’è anche tanto altro, nel libro di Sollier: riflessioni intelligenti sulla sessualità (ricordate le polemiche estive tra Cassano e Cecchi Paone?), idee suggestive per conciliare il professionismo calcistico con il contenimento degli ingaggi, sempre nell’ottica di un’integrazione dello sport nel resto della società, considerazioni fin troppo premonitrici sulla deriva istituzionale e moderata del PCI; il tutto mischiato, quasi a caso, con naturalezza, ad aneddoti spassosi che contribuiscono a rendere la lettura piacevole e sempre leggera. E sicuramente è ben pensata l’idea di arricchire il testo con una selezione di articoli di giornale degli Anni Settanta per inquadrare il personaggio, a mo’ di introduzione, e in appendice le “recensioni” del libro, sempre dell’epoca: fra tutte spicca, per particolare idiozia, la patetica stroncatura di Italo Cucci. È un vero peccato che di Sollier in campo non ce ne siano più, mentre di Cucci e dei suoi accoliti in TV e sui giornali non si riesce proprio a liberarcene.

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