Scusate l’assenza.
Torno qui dopo due mesi e mezzo che valgono anni, per tutte le cose che sono successe in questo periodo.
Mentre scrivo, il presidente degli USA Donald Trump ha appena tenuto il suo discorso trionfale davanti al Parlamento israeliano subito dopo la liberazione degli ostaggi sopravvissuti; a breve dovrebbe essere firmato l’accordo tra Israele e Hamas per la fine delle ostilità; i governi occidentali, in primis il nostro, si intestano il merito della “pace” mentre editorialisti addomesticati ne cantano le lodi, sorvolando accuratamente sul fatto che il “piano” proposto dagli USA in realtà non risolve nessuno dei problemi sul tavolo.
È un dato di fatto però che almeno per il momento i bombardamenti e i massacri si sono interrotti: in questo tempo sospeso in cui il popolo palestinese prende finalmente un poco di respiro e le azioni della fabbrica di armi Leonardo perdono il 6,5% in una settimana, noi possiamo forse tracciare un bilancio provvisorio degli eventi straordinari a cui abbiamo assistito e partecipato da questa parte del Mediterraneo.
Sì, perché le mobilitazioni che nelle ultime settimane hanno attraversato l’Italia (e non solo) sono state un fenomeno straordinario, senza precedenti almeno per chi ha la mia età. Non parlo solo dei cinquantamila sotto la pioggia il 22 settembre o degli oltre centomila il 3 ottobre a Milano, né soltanto del milione a Roma il giorno successiva, ma anche delle centinaia una sera sì e una no a Pavia, a Saronno e in tanti altri posti in cui non si vedevano cortei da decenni.
Non è un caso che a muovere queste centinaia di migliaia di persone sia stata un’impresa eccezionale come quella della Sumud Flotilla, che aveva come scopo principale proprio quello di ispirare e accompagnare una nuova generazione di persone in un percorso di consapevolezza politica.
Le parole di Greta Thunberg, il giorno della partenza della Flotilla da Barcellona erano altrettante sassate contro i governi occidentali, direttamente complici del genocidio:
This story is also about a global uprising, about how people are standing up when our governments failed to do so. For every politician that is fueling the genocide […] there will be people escalating the Resistance against that.
Le avevo trascritte in conclusione di un lungo articolo (pubblicato qualche settimana fa su FantasyMagazine) sulla serie Andor, che a sua volta racconta il Trail of political consciousness alla base della Resistenza contro il malvagio impero galattico.
Il viaggio della Sumud Flotilla è stato un simbolo meraviglioso. Tra venti o trent’anni qualche regista importante lo racconterà in un film memorabile. Centinaia di persone da tutto il mondo, decine di barche da tutto il Mediterraneo nell’impresa disperata di rompere l’assedio di Gaza, sfidando le difficoltà oggettive della traversata, le critiche e le trappole di tutti i governi occidentali, le minacce della macchina militare israeliana. È la stessa epica di Dunkerque (a proposito di film memorabili).
Non è certamente un caso se proprio questa “storia” – come l’ha opportunamente definita Greta Thunberg – è stata in grado di emozionare e smuovere le coscienze di milioni di persone in tutto il mondo. Ha potuto farlo anche perché è riuscita a mettere spalle al muro i governi occidentali, tanto era clamorosa l’illegalità di chi attaccava la Flotilla, al punto che un ministro della nostra Repubblica si è spinto a dichiarare che “il diritto vale fino a un certo punto”.
Ma se la Flotilla è stata il detonatore, il fatto davvero importante è che il materiale esplosivo era già lì, in quelle coscienze che si sono risvegliate: si era andato accumulando almeno dalla crisi del 2008 ed era diventato sempre più instabile negli ultimi anni tra pandemie, guerre e ingiustizie crescenti, di cui il genocidio del popolo palestinese nell’indifferenza (o peggio, con la collusione) dei potenti del mondo è soltanto l’ultima e la più mostruosa.
Serviva solo una scintilla, una causa che facesse “saltare il tappo”. E il tappo è saltato con un fragore che si è avvertito in tutto il mondo. Se fino a ieri l’Italia era più o meno l’unico posto in Occidente in cui negli ultimi vent’anni non si erano viste esplosioni sociali, oggi è direttamente nella prima fila dei paesi più esplosivi: “Facciamo come in Italia”, è la parola d’ordine degli attivisti di tutto il mondo.
Ecco perché i nostri governanti hanno espresso tanto odio verso la Flotilla e verso tutte le persone che hanno manifestato in queste settimane. Per la prima volta da quando hanno vinto le elezioni, hanno incontrato un’opposizione vera, e hanno paura che la prossima ondata li spazzerà via.
E hanno ragione ad aver paura. Perché è più che evidente che queste manifestazioni erano dirette contro di loro. Quello del 3 ottobre è stato il primo sciopero politico di massa da decenni, e per la maggior parte delle persone che hanno partecipato era chiaro che la lotta che noi possiamo fare per sostenere il popolo palestinese è in prima istanza una lotta contro il nostro stesso governo. Questa consapevolezza diffusa a livello di massa è un evento del tutto nuovo e assolutamente dirompente.
La tregua sponsorizzata da Trump è almeno in parte una reazione a questo processo, un tentativo di “rimettere il tappo” alla presa di coscienza politica di milioni di persone. Se il governo israeliano è stato costretto a cessare (per il momento) il massacro, pur con tutte le contraddizioni e i limiti della proposta americana, è anche per le pressioni dei governi occidentali che, come il nostro, per la prima volta hanno avuto paura.
È una paura bipartisan, che riguarda i partiti di governo e quelli di opposizione, che nonostante abbiano tentato di cavalcare le mobilitazioni sono stati perlopiù disarcionati. In Italia, lo dimostra l’affluenza ridicola alle elezioni regionali nelle Marche, in Calabria e in Toscana. Nessuno è in grado di controllare un processo di presa di coscienza che è spontaneo e si è costruito dal basso, al quale le stesse organizzazioni che lo hanno promosso – compresa la Cgil, costretta dalla sua base a scioperare insieme ai sindacati di base, ed è anche questa una novità! – si sono sostanzialmente si sono messi alla coda invece che alla testa.
L’effetto delle mobilitazioni è stato talmente dirompente, sia sulla situazione oggettiva che nella consapevolezza acquisita da chi vi ha preso parte, che se anche con la tregua in Palestina dovessero interrompersi, lasceranno un segno profondo e duraturo in molte delle persone che sono scese in piazza.
Tra gli elementi destinati a sedimentare, forse il più importante è l’idea che il modo normale per cambiare ciò che non va nella nostra società (e le cose che non vanno sono tantissime!) sia agire direttamente, lottare. Se “il diritto vale fino a un certo punto”, come ha detto il ministro Tajani, allora diventa chiaro che quello che vale sono i rapporti di forza reali, e che l’unica strada davvero utile sia quella di organizzarsi collettivamente per spostarli a nostro favore. Questa consapevolezza sarà particolarmente difficile da cancellare, e sarà il motore delle mobilitazioni che verranno in un futuro che sembra davvero prossimo.
Il passaggio ulteriore che spingerà il movimento a un nuovo salto di qualità sarà la presa di coscienza della loro forza da parte dei lavoratori organizzati in quanto classe, e non semplicemente come “individui numerosi”: sono loro l’unico soggetto davvero in grado di cambiare i rapporti di forza nella società.
È solo questione di tempo. Quando accadrà, ne vedremo delle belle.