Se non è Rivoluzionaria, che Sinistra è?

Ce l’abbiamo fatta: in oltre metà delle regioni italiane il simbolo della Sinistra Rivoluzionaria comparirà sulle schede elettorali il giorno delle elezioni politiche. Nelle settimane che ci separano dal voto spiegheremo il nostro programma in centinaia di banchetti, gazebo, incontri, assemblee pubbliche, utilizzando ogni tribuna possibile (compresa questa modestissima) per raggiungere quante più persone. Siamo certi che le nostre idee stimoleranno la curiosità di molti, l’interesse di alcuni: avvicinare queste persone alla nostra organizzazione, conquistare nuovi militanti oggi per poter intervenire in modo più incisivo già da domani, questo è l’obiettivo che ci siamo prefissati fin da quando abbiamo deciso di presentare le liste. Un obiettivo che stiamo già raggiungendo.

Il nostro programma contiene una panoramica di queste trasformazioni ma non è una semplice “lista della spesa”: si tratta invece di un programma organico per la trasformazione della società in cui viviamo, da un sistema fondato sulla disuguaglianza e sullo sfruttamento a uno che sia davvero democratico e umano. Per attuarlo non è sufficiente mettere una pezza qua e là, cancellare o ridipingere un paio delle peggiori controriforme degli ultimi anni. La disparità crescente tra pochissimi ricchi e tutti gli altri non è un incidente di percorso, ma il presupposto stesso su cui si basa il nostro sistema economico: pallide riforme di facciata, comunque neppure consentite da chi detiene le leve del potere economico e politico, non possono scalfire il problema di fondo. Le cifre rappresentano in modo eloquente la crescita della disuguaglianza negli ultimi trent’anni: l’ultimo rapporto Oxfam per l’Italia mostra come dal 1988 al 2011 il reddito del 10% più ricco della popolazione sia cresciuto del 29%, mentre quello del 10% più povero è rimasto invariato. L’Istat conferma che nell’ultimo anno il rapporto tra il reddito del 20% più ricco e quello del 20% più povero della popolazione sia cresciuto ancora. Nell’ultimo decennio, quello della crisi economica, il tasso di povertà è quasi triplicato passando dal 2,9% del 2006 al 7,9% del 2016.

Ecco perché per la nostra idea di Sinistra abbiamo scelto l’aggettivo Rivoluzionaria: non per lasciar intendere che una rivoluzione sia imminente, ma neppure per un vezzo: quell’aggettivo significa invece che una rivoluzione è necessaria per attuare le trasformazioni che possano assicurare a tutti i cittadini un’esistenza libera e dignitosa.

Tra i punti principali del programma della Sinistra Rivoluzionaria ci sono quelli che riguardano il lavoro, la lotta alla disoccupazione e la difesa del salario:

  • abolizione delle forme di lavoro precario e ripristino dell’articolo 18 (nella formulazione pre-Fornero) che deve essere esteso a tutti i rapporti di lavoro: sotto il ricatto del mancato rinnovo del contratto o di un licenziamento che rimane definitivo anche quando è illegittimo, i lavoratori sono soggetti all’arbitrio del datore di lavoro e non possono far valere neppure quei pochi diritti che sono loro riconosciuti. Solo la certezza che il datore di lavoro non possa risolvere il rapporto senza giusta causa può consentire ai lavoratori di pretendere e ottenere condizioni di lavoro eque e sane
  • salario minimo inderogabile di 1.400 Euro al mese e salario garantito ai disoccupati pari all’80% del salario minimo: se imprenditori grandi e piccoli possono permettersi di pagare stipendi da fame è perché per molti l’alternativa è rimanere privi di qualsiasi reddito. Garantire un reddito dignitoso a chi non ha lavoro è l’unica via per obbligare i datori di lavoro a pagare il giusto chi lavora: il giusto, un salario in grado di mantenere un tenore di vita dignitoso e non semplicemente di sopravvivere, non può essere inferiore a 1.400 Euro al mese.
  • riduzione dell’orario di lavoro a 32 ore settimanali a parità di salario
  • pensione con 35 anni di lavoro o 60 anni di età e pensione pari all’80% dell’ultima retribuzione e comunque non inferiore al salario minimo: viviamo nel paradosso di lavoratori anziani costretti a invecchiare sul posto di lavoro, mentre i loro nipoti – per non dire dei figli – non riescono a trovarne uno. È sotto gli occhi che la soluzione sia abbassare l’età pensionabile, consentendo a chi va in pensione di mantenere un tenore di vita accettabile.

I soldi per attuare queste misure ci sono: i governi Renzi e Gentiloni hanno sottratto all’INPS 18 miliardi di Euro che sono stati regalati alle aziende sotto forma di decontribuzione per le nuove assunzioni, e hanno impiegato altri 20 miliardi di Euro per garantire il buco delle banche venete. Ci sono poi i colossali profitti delle grandi imprese private che gestiscono servizi pubblici come i trasporti, le telecomunicazioni, l’energia, l’acqua e il ciclo di rifiuti, intascando sotto forma di dividendi risorse che dovrebbero essere investite per il benessere della collettività: queste imprese devono diventare o tornare nelle mani del settore pubblico, con un processo di nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori e degli utenti, e non degli apparati statali, che potrà solo liberare enormi risorse e migliorare la qualità dei servizi.

I nostri nemici sono gli schieramenti politici che in questi trent’anni, alternandosi al governo, hanno varato tutte le controriforme di cui chiediamo l’abolizione: dal pacchetto Treu e la legge Biagi che hanno aperto la stagione dei contratti precari, alla legge Fornero che ha dato il primo colpo all’articolo 18 e innalzato l’età pensionabile, fino al Jobs Act che ha definitivamente liberalizzato i contratti precari e abolito ogni tutela sostanziale per chi viene licenziato. Gli stessi governi che hanno regalato decine di miliardi alle grandi imprese con privatizzazioni, sovvenzioni a fondo perduto, decontribuzione.

Nostra nemica è anche l’Unione Europea, che fedele al suo compito istituzionale di mantenere lo status quo ha prima ispirato e poi imposto gran parte di queste controriforme: non è possibile avanzare rivendicazioni anche meno radicali delle nostre senza rivendicare allo stesso tempo l’uscita dall’UE, un’istituzione che non può essere riformata più di quanto una prigione possa essere trasformata in resort stellato.

Sono certo che in molti considerino queste rivendicazioni e le altre del nostro programma come utopie velleitarie. Il fatto è che oggi viviamo in quella che un lavoratore di trent’anni fa avrebbe considerato una distopia infernale. Il problema è che in troppi danno per scontato che questa debba necessariamente essere la realtà a cui adeguarsi. L’obiettivo della campagna elettorale della Sinistra Rivoluzionaria è convincervi che non è affatto così e chiedervi di aiutarci a trasformare questa società.

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