Sisal e i lavoratori pagati coi voucher: tale prodotto, tale contratto

Riproduco anche qui il post che gli amici del Collettivo Senza Slot molto gentilmente ospitano quest’oggi sul loro blog su Il Fatto Quotidiano, a proposito di precarietà e azzardo: due temi non imprevedibilmente intrecciati.

 

voucher gratta e vinci

Uno degli argomenti principali dei (pochi e interessati) sostenitori della necessità di conservare l’industria dell’azzardo liberalizzato, è che crea posti di lavoro. Non dubito che sia effettivamente così, e in effetti ne ho avuto una testimonianza diretta qualche giorno fa.

Un tale che avevo già assistito in passato mi ha contattato per un parere: aveva lavorato con Sisal, con mansioni impiegatizie connesse alla gestione delle vincite delle VLT, per un paio di mesi, 260 ore in tutto, senza firmare un vero e proprio contratto, pagato mediante voucher. Poco prima della scadenza delle 260 ore, gli era stato affiancato un altro lavoratore ingaggiato con la stessa formula, al quale aveva impartito la formazione necessaria perché potesse rimpiazzarlo efficacemente. Mi ha spiegato che nella sede in cui aveva lavorato le postazioni “coperte” con questo tipo di contratti, e dunque soggette a turn over ogni paio di mesi, erano sei. Avendo vinto in passato con un’altra azienda una causa relativa a contratti precari, tutto sommato meno precari di questi ultimi, voleva sapere se fosse tutto in regola o se si potesse intervenire in qualche modo.

La domanda non era mal posta. Per chi non avesse familiarità con l’argomento, i voucher, o buoni lavoro, sono dei  tagliandini che si comprano dal tabaccaio, oltre che presso le sedi INPS e servono a retribuire le attività di “lavoro accessorio”: chi li compra li paga 10€; chi li riscuote, presso INPS, le Poste o gli stessi tabaccai, ottiene 7,50€: la differenza sono tasse e contributi riscossi direttamente dal concessionario. Vennero introdotti dalla c.d. “legge Biagi”, il decreto legislativo n. 276/2003, nell’ambito di “attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, nell’ambito dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, dell’insegnamento privato supplementare, dei piccoli lavori di giardinaggio, della realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli, della collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza”, il tutto con un limite massimo di 30 giorni e 3.000€ nell’anno solare.

L’idea di partenza era quella di favorire l’ingresso nel mondo del lavoro di soggetti svantaggiati, (“con particolare riferimento a opportunità di assistenza sociale”, precisava la legge delega), cui si aggiunse immediatamente l’ulteriore finalità di regolamentare, e soprattutto tassare, “lavoretti” come le ripetizioni private. Col passare degli anni e dei governi, riforma dopo riforma, da queste finalità iniziali i voucher si sono gradualmente trasformati in uno strumento per assicurarsi manodopera super-precaria e a costo di saldo: non era imprevedibile.

Con l’ultimo governo Berlusconi è sparito il riferimento ai soggetti a rischio, col risultato che i contratti di lavoro accessorio si possono stipulare con chiunque. Non era abbastanza: ci ha pensato Monti a completare la liberalizzazione dei voucher con la riforma Fornero, che li ha resi utilizzabili per qualsiasi attività lavorativa, sia pure introducendo, oltre al limite complessivo per il lavoratore di 5.000€ annui, anche un tetto per ogni committente di 2.000€ in ciascun anno solare. Coerentemente, il governo Letta nel 2013 tolse dal testo della norma anche il riferimento all’occasionalità della prestazione. Da ultimo il duo Renzi-Poletti propone, nel terzo decreto attuativo del Jobs Act, in via di emanazione, di innalzare il limite da 5 a 7.000€ annui. L’obiettivo è rendere una forma di reddito stabile quello che in origine doveva essere soltanto lavoro occasionale e accessorio: la “generazione mille euro” è un bel ricordo, ora ci si mantiene con 5-600€ al mese, e non solo da giovani.

Al lavoratore che chiedeva un parere sulla sua vicenda ho risposto nell’unico modo che mi era possibile: la legge pone un limite di 2.000€ con ciascun committente senza specificare se si tratti dell’importo netto o di quello lordo; secondo l’INPS bisogna considerare il netto effettivamente percepito dal lavoratore, per cui il limite sarebbe di 266 ore (2.000/7,50) e Sisal non l’avrebbe superato; l’INPS però non è il legislatore e perciò non è detto che la sua interpretazione sia quella corretta; in ogni caso non sta scritto da nessuna parte, purtroppo, che in caso di superamento del limite massimo, quale che sia, la conseguenza sia la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Dunque la strada è decisamente in salita.

Ma al di là della sua legittimità formale, la faccenda merita qualche considerazione sul piano sostanziale e su quello simbolico. Che una grande azienda utilizzi forme di lavoro ultra-precarie per attività assolutamente stabili e del tutto riconducibili a un lavoro impiegatizio è già piuttosto discutibile. Suona particolarmente beffardo che a farlo siano (anche) aziende dell’azzardo liberalizzato: come se non bastassero i profitti generati sulle spalle delle perdite di milioni di “giocatori”, si aggiungono quelli legati allo sfruttamento della precarietà più estrema. Facile poi vantarsi urbi et orbi di aver creato centinaia di nuovi posti di lavoro: se ognuno dura due mesi, il dato dovrebbe essere quantomeno ridimensionato…

Non è un caso del resto che letteralmente ogni governo dalla fine degli anni Novanta a oggi, da Berlusconi a Renzi passando per Prodi, Monti e Letta, abbia contribuito attivamente sia allo sviluppo dell’azzardo, sia all’aumento della precarietà. Se non stiamo attenti, il prossimo passo sarà pagare i lavoratori direttamente con i gratta e vinci: la chiusura del cerchio.

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