Ddl 2000 e Contratto Unico di Ingresso: se questa è l’opposizione…

Perché penso che la Sinistra, per sopravvivere, debba tenersi ben distante dal Partito Democratico? Ad esempio, perché il PD ha presentato al Senato, un paio di mesi fa, un disegno di legge – primo firmatario Paolo Nerozzi – dedicato alla “Istituzione del contratto unico di ingresso”. In parole povere, la proposta è quella di escludere in via di principio la possibilità di ottenere un contratto a tempo indeterminato, con le relative tutele in caso di licenziamento, per i primi tre anni in cui si lavora presso ogni datore di lavoro. In parole poverissime, significa l’abolizione di fatto dell’art. 18 per una fascia estesissima di lavoratori che oggi invece ne godono.

La proposta somiglia, per molti aspetti, a quella del Contrat Premiére Embauche (CPE) introdotta dal governo francese nel 2006 e poi ritirata dopo proteste di massa in tutto il Paese. Ma siccome in Italia siamo più scaltri, qui la proposta la fa direttamente l’opposizione…

Nella relazione di accompagnamento, i suoi promotori spiegano che

Una quantità crescente di lavoratori sta invecchiando all’interno di schemi contrattuali che, se nelle intenzioni dei loro proponenti dovevano funzionare come strumenti inclusivi, di incentivazione e accompagnamento verso il lavoro stabile e regolare, si sono trasformati – anche a causa di concorrenti fattori di crisi del sistema produttivo nazionale – in recinti e barriere invalicabili, percepiti e sofferti dalle persone come un’esclusione dalla “cittadella fortificata” in cui i diritti e le tutele dei lavoratori hanno piena cittadinanza.

La “cittadella fortificata”, naturalmente, è la tutela reale (il diritto alla reintegrazione) in caso di licenziamento illegittimo prevista dall’art. 18 dello Statuto. Siccome non tutti ne godono (i precari a vario titolo e i lavoratori di aziende fino a 15 dipendenti ne sono esclusi), la proposta del Partito Democratico per ridurre le ineguaglianze è… privarne tutti indistintamente.

La relazione di accompagnamento prosegue sottolineando come negli ultimi 15 anni il potere d’acquisto dei salari si sia ridotto del 16% (!!), e sia allo stesso tempo aumentato il divario tra i redditi medi maschili e femminili, e tra quelli dei lavoratori al di sopra e al di sotto dei 30 anni di età. Tutto giusto, ma non si comprende perché la soluzione debba essere quella di adeguare i diritti alla misura inferiore, anziché estenderli per tutti.

Anzi, si comprende fin troppo bene: tutto dipende da quali interessi difendi, quelli dei lavoratori, precari e non, oppure quelli dei datori di lavoro – in questo caso delle grandi aziende. Sulla collocazione del Partito Democratico nel conflitto di classe non c’è davvero nessun dubbio. Insomma, in un contesto in cui il lavoro è sempre più precario, la proposta è di aumentare ancora la “flessibilità”, diminuire le tutele e consentire al padronato di fare i suoi porci comodi. Secondo questi signori, la via di uscita alla crisi economica sta nello scaricarne tutto il peso sui lavoratori, cioè su chi già sta peggio.

Ed ecco dunque, in concreto, la proposta del Contratto Unico di Ingresso: introdurre la possibilità, in sede di prima assunzione, di sospendere l’art. 18 per i primi tre anni di contratto. In caso di licenziamento, il datore di lavoro è tenuto esclusivamente a corrispondere una somma di denaro proporzionale alla durata del rapporto, e comunque con un tetto massimo di sei mesi di stipendio.

Non è difficile capire i vantaggi di questo sistema per le aziende, ma i relatori della proposta li spiegano ugualmente, tanto per non lasciare dubbi su chi ci guadagna:

Oggi, se per effetto di una successione di contratti a termine il rapporto di lavoro tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore supera i trentasei mesi, il rapporto di lavoro deve considerarsi convertito ex tunc [fin dall’inizio] in contratto a tempo indeterminato. Consentendo di evitare una novazione contrattuale alla scadenza della fase di ingresso, il CUI sarebbe evidentemente sottratto a tale sanzione.

Ci viene spiegato in pratica che mentre adesso, per aggirare la tutela dell’art. 18, il datore di lavoro è costretto a ricorrere a sgami come stipulare una successione di contratti a termine di volta in volta rinnovati, con il rischio di vedersi poi costretto, se il lavoratore si rivolge al Tribunale e ottiene giustizia, a garantirgli il posto a tempo indeterminato, con il CUI il problema non si pone: alla scadenza del terzo anno, o anche prima secondo la sua convenienza, l’azienda si può sbarazzare del dipendente in cambio di una modesta somma di denaro. Conviene, no?

In ogni caso, non è che si proponga di abolire i contratti a termine. Per certi aspetti, anzi, se da un lato vengono in teoria rese più rigide le condizioni per i contratti a tempo determinato, dall’altro l’idea è quella di consentire una più ampia flessibilità dei casi in cui si possono validamente stipulare, consentendo alla contrattazione collettiva di stabilirne a piacimento. Sì, la contrattazione collettiva tra le aziende e i sindacati padronali CISL, UIL e UGL…

La chicca è che, rispetto alle causali oggi consentite, la proposta di legge aggiunge il caso dei “lavori nello spettacolo”. Sarà un caso che tra i relatori della proposta vi sia il Professor Ichino, che nella sua attività di avvocato difende, tra gli altri, il Teatro alla Scala in decine di vertenze relative a contratti a termine? E poi parlano di leggi ad personam

Con questo, penso si possa dare una risposta a chi, nella Sinistra, sostiene che per rompere l’accerchiamento e “portare a casa qualcosa” si debba allearsi con il Partito Democratico: è questo, quello che vogliamo portare a casa? Io penso proprio di no.

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9 comments

  1. Ma in che mondo vivete? Ormai, TUTTI, salvo i figli e i nipoti dei soliti noti, sono assunti con contratti a termine, o con CO-Co-pro, o con contratti a tempo indeterminato (E FIRMA DI DIMISSIONI IN BIANCO), soprattutto le donne. Leggete BENE il disegno di legge, prima di parlare (a vanvera) !!!!

  2. Per la verità, non solo tra i miei amici e conoscenti, ma anche tra i lavoratori che assisto, non sono pochissimi, anche giovani, ad avere contratti a tempo indeterminato.
    I (tanti, troppi) che hanno contratti a vario titolo “precari” desiderano, perlopiù, passare a tempo indeterminato per motivi che mi paiono ovvi: una parte consistente delle vertenze che seguo hanno proprio questo obiettivo.
    Se passasse un disegno di legge di questo tipo, la maggior parte di queste cause non si potrebbe neppure iniziare.
    Che poi la realtà sia che la precarietà nelle sue varie forme sia straordinariamente diffusa tra i giovani (ma non solo), e specialmente tra le donne, è un fatto che non mi sogno di contestare, anzi. Contesto però un disegno di legge che mira a rendere questa situazione regolare, invece di contrastarla.
    Ma spiegami, tu che hai letto bene il disegno di legge, per quale motivo è sbagliato criticarlo, o perché si dovrebbe addirittura esserne lieti.

  3. Lo sgomento è totale e lo smarrimento ancora peggio,anche nella sinistra più estrma c’è l’ombra “rassicurante” del pd,ma se è solo una questione di numeri perchè non si spostano nella maggioranza nessuno coglierebbe la differenza e in quello che rimarrebbe a “sinistra” ci sarebbero meno polemiche,forse,o forse non rimarrebbe alcuna sinistra se non quella che ormai non è più rappresentata se non nelle manifestazioni dei lavoratori offesi e beffati sempre più brutalmente e apertamente…che sconforto.

  4. Per rispondere ad elibetta: nel 2010 i contratti a tempo indeterminato erano l’83% (dati ISTAT rielaborati dalla CGIA di Mestre http://www.cgiamestre.com/portal/PRECARI__SONO_UN_ESERCITO_DI_QUASI_4_MILIONI_DI_PERSONE-23360-20379). Peggiorare l’83% di questi contratti non farà stare meglio il 17% restante costituito da precari.
    La precarietà è una piaga gravissima che va combattuta e che rovina le vite di milioni di persone (soprattutto giovani), ma non la si può combattere estendendola!

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