La guerra civile fredda

Daniele Luttazzi è un genio. Insieme a Sabina Guzzanti è l’unico autentico autore satirico italiano: non a caso sono i due attori più censurati in TV; rispetto a Sabina Guzzanti mostra sempre di avere un orizzonte molto più ampio, che va ben oltre la pur sacrosanta critica del sistema berlusconiano.

Il suo ultimo libro La guerra civile fredda (Feltrinelli, novembre 2009, € 15,00) è proprio lo specchio di questo vasto orizzonte, ed esibisce una straordinaria capacità di analisi dei meccanismi con cui la classe dominante controlla quella dominata. Per certi aspetti, è il completamento del libro di Jon Ronson L’uomo che fissa le capre, in cui si mostravano dettagliatamente alcuni aspetti di questo controllo.

La prima parte è dedicata alla spiegare come mai, nonostante gli effetti catastrofici delle politiche di destra, in Italia e nel mondo, siano sotto gli occhi di tutti – e nelle tasche di molti! – la destra e in primo luogo Berlusconi continuino a raccogliere il consenso della maggioranza degli italiani.

È il tema dei temi, spesso liquidato nelle conversazioni da bar o da mailing list (di sinistra) con la formula: “gli italiani sono stupidi, si meritano di avere questo Governo”. Ma questa ricetta ben che vada si riduce a una tautologia, non spiega niente e lascia frustrati e insoddisfatti. Luttazzi ha una teoria più convincente, fondata sul potere di una “narrazione emotiva” ottimamente congegnata, in grado di coinvolgere milioni di persone che finiscono per votare ciò che meno gli conviene.

Come funziona? In sintesi, esattamente come un romanzo o un film di successo: serve una storia in cui non possono mancare cinque elementi: ostacoli da superare (per Berlusconi, i comunisti, le toghe rosse, la Costituzione etc.), debolezze che rendano il protagonista un essere umano in cui identificarsi facilmente (servono esempi?), uno scopo da volere a tutti i costi (il potere, non andare in prigione, cose così), l’unicità del protagonista, da creare magari  ricostruendone un passato suggestivo (ricordate il volume fotografico spedito a tutti gli italiani Berlusconi: una storia italiana?), e infine l’alterità irreconciliabile tra protagonista e antagonista, che devono essere agli antipodi.

Ecco spiegato perché Berlusconi vince e il PD perde: perché Silvio la sua storia la sa raccontare in modo efficace, è capace di sfruttare anche le sue debolezze come un elemento da cui trarre ulteriore consenso (ed ecco la ragione principale per cui trovo irritanti tutti i polveroni sulle sue gaffes  internazionali: non solo distolgono dalle questioni davvero importanti, ma servono in ultima analisi a rafforzare il personaggio!)

E si spiega anche perché Rifondazione (la Federazione della Sinistra, ormai) non è in grado oggi di esprimere un’alternativa realmente credibile: “È inutile  chiedere in piazza la chiusura dei lager per gli immigrati, parlare contro le guerre e l’imperialismo e poi votare con la destra per rifinanziarli. La narrazione dev’essere congruente, sennò il pubblico ti punisce“. Su questo tornerò comunque più specificamente nei prossimi giorni, spero prima delle elezioni.

Affascinante è poi la digressione in cui Luttazzi racconta, con dovizia di fonti e accuratezza degna di uno Zeitgeist, “come stanno davvero le cose” a proposito della religione, altro poderoso strumento di controllo della società che pure si può ricondurre alle tecniche di narrazione emotiva.

Seguono, tra gli altri, lo splendido racconto Zombies a Montecitorio (“Raccontare storie di zombies è un piacere tipicamente umano che ha radici antichissime, fra le cui motivazioni profonde la principale è forse riconducibile al bisogno ancestrale di domare la natura ostile, e una non secondaria a quello misterioro si possederla“), una serie di brani tratti dal sito www.luttazzi.it, (tra cui uno che avevo già particolarmente apprezzato alcuni anni fa, al primo apparire del movimento di Beppe Grillo: l’evoluzione degli eventi conferma pienamente i giudizio che Luttazzi ne dava fin da allora) e infine, una serie di interventi “tecnici” sulla satira come forma d’arte, un po’ l’approfondimento teorico della “Palestra” che il comico tiene sul suo blog.

Certo, è curioso e forse un po’ inquietante che sia un comico a spiegarci come funziona la nostra società, esponendone i mali in modo tanto preciso da apparire addirittura brutale. Manca naturalmente una soluzione, ma quella non può essere compito del satirico indicarla: è già un’impresa colossale cercare di aprire gli occhi alla gente.

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