I-Chin

Il sorriso sardonico dell’uomo coi baffetti lo fissava da ciascuna delle tre monete d’oro su cui era inciso il volto. “Testa-testa-testa”, annotò coscienziosamente Mah-Ki-Yong sul taccuino di carta di riso. Confrontò il risultato con quello dei cinque lanci precedenti e calcolò l’oracolo:

Alle falde del monte sta il lago: l’immagine della diminuzione. Così il nobile doma la sua ira e raffrena i suoi istinti.

L’immagine della diminuzione…” mormorò a fior di labbra. “Certo, il licenziamento è una diminuzione del personale, è evidente. L’azienda è chiaramente il nobile che è costretto a ridurre il personale per frenare i suoi istinti, che sarebbero di chiudere baracca e burattini e andare a investire da qualche altra parte. Magari ad Atene, capitale del Protettorato Ellenico Tedesco Orientale. Ma licenziare nel P.E.T.O. è un incubo, non come qui in Italia. Il che ci riporta alla domanda iniziale: chi dobbiamo eliminare? Alle falde del monte sta il lago…

L’I-Chin amava rispondere per enigmi, ma Mah-Ki-Yong non era diventato per caso direttore del personale della Sun Industries a soli 35 anni. Aprì la banca dati e fece scorrere l’elenco dei dipendenti. Dopo pochi minuti aveva i suoi tre licenziati: Giosué Faldini, Giovanni Dell’Acqua e Riccardo Montagna. Il primo di notorie idee socialiste, il secondo quasi sessantenne – costava il triplo dello stagista che avrebbero preso al suo posto – e il terzo, girava voce che portasse sfiga. L’I-Chin era davvero infallibile.

Scarabocchiò i nomi su un foglietto e lo consegnò alla segretaria, nel vestibolo dell’ufficio: «Per piacere, prepari tre lettere di licenziamento da comunicarsi alla fine del secondo turno. Procedura standard. Io vado a pranzo, tornerò verso le quattro del pomeriggio».

*   *   *

Dopo otto ore incollato al visore, con le mani nei dispositivi di manipolazione biomeccanici, Riccardo Montagna aveva gli occhi rossi e le braccia anchilosate. Fuori dal laboratorio si imbatté in Villari e Vanetti e li salutò freddamente fingendo come al solito di non accorgersi mentre si davano di gomito incrociando le dita e mormorando “Chiuso”. “Stronzi” – pensò: l’avevano messa in giro loro la voce che Riccardo fosse un menagramo. Vanetti aveva addirittura programmato un’applicazione per il cellulare, Sfiga di Montagna, che aveva immediatamente spopolato tra i colleghi rendendolo un emarginato senza speranza.

Mentre passava davanti all’ufficio dell’amministrazione sentì una voce stridula e sgradevole chiamarlo: «Montagna, firmi qui». Meccanicamente siglò il foglio che gli porgeva con mala grazia Matilde, la segretaria antipatica, e si ritrovò in mano una busta con il logo dell’azienda, il disegno infantile di un sole giallo su campo azzurro. Giunto nello spogliatoio, l’aprì e lesse:

Egregio Signor Montagna, siamo spiacenti di comunicarle la risoluzione del suo rapporto di lavoro con effetto dalla data odierna per giustificato motivo oggettivo, fondato sull’oracolo dell’I-Chin interpretato da un soggetto abilitato. Ringraziandola per la sua collaborazione, porgiamo cordiali saluti.

Soltanto sotto la doccia dello spogliatoio cominciò a realizzare il significato di quelle scarne righe. Aperto il rubinetto lo colse il panico; mentre si insaponava, forse per via dello sfregamento, si accese la rabbia; il risciacquo la lavò via e lasciò il posto a una mesta rassegnazione. Fu questa sensazione ad accompagnarlo quando uscì dal grande palazzo a vetri, senza salutare nessuno.

Gocce di pioggia cominciarono a ticchettare sulla larga tesa nera del cappello. Che fare? Ricordava che sul tragitto verso casa, non distante da lì, si trovava una piccola sede del sindacato: c’era passato davanti un’infinità di volte senza mai sospettare che avrebbe potuto averne bisogno, un giorno. Era sfiduciato, ma tanto valeva provare: s’incamminò spedito in quella direzione.

*   *   *

Quando si vide di fronte quella specie di spaventapasseri vestito di nero dalla testa ai piedi, Susanna si toccò il seno sinistro d’istinto.

«Desidera?»

«Buonasera, volevo avere un’informazione…»

«Guardi, stiamo chiudendo, ripassi domani: l’ufficio è aperto dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.30».

Riccardo indicò l’orologio appeso alla parete dietro le spalle della ragazza: «Ma…»

«È indietro».

«Come?»

«L’orologio, è indietro di 10 minuti».

«Ma mi hanno licenziato».

Sbuffando non troppo discretamente, Susanna tese la mano: «Dia qui».

L’uomo le porse la lettera, già tutta stropicciata: «Si può fare qualcosa?»

«Mi dispiace, non si può impugnare. A meno che lei non possa dimostrare che l’interpretazione dell’I-Chin era manifestamente infondata. Può dimostrarlo? No, ecco».

«Ma quindi che cosa posso fare? Non ho diritto a un’indennità, a qualcosa che mi dia da campare finché non trovo un altro lavoro?»

«L’azienda dovrebbe pagarle 300.000 lire al mese per sei mesi, ma vedo che lei lavorava alla Sun Industries: le imprese straniere sono esentate, se no chi vorrà investire in Italia? Comunque noi qui ci occupiamo soltanto di collocamento. In quella vaschetta ci sono i moduli: li riporti compilati e la iscriviamo alle liste. Se è fortunato – qui Susanna non riuscì a trattenere una smorfia di scherno – qualche azienda estrarrà il suo nome».

Riccardo fece per prendere un mazzetto di fogli dal contenitore, ma si bloccò a osservare il poster incorniciato appoggiato per terra all’armadietto. I bordi consunti, segni di nastro adesivo agli angoli, il bianco delle scritte ingiallito, sbiadito il rosso di fondo, diceva: “Al vostro fianco nelle lotte di ogni giorno”.

«Le piace? Può prenderlo se vuole, è roba vecchia, stavo per buttarla via».

*   *   *

«È ora, ci segua».

Con un sospiro, l’uomo coi baffetti levò lo sguardo dal libro, si alzò dalla branda, sistemò con cura tra le pagine un segnalibro d’argento a forma di serpente – cimelio del suo passato da senatore – prese la giacca dall’appendiabiti e uscì dalla cella nel corridoio, dove lo attendevano le due guardie.

L’aula del tribunale era gremita: dietro la balaustra, oltre lo stuolo di giornalisti, non meno di un centinaio di persone affollavano la sala, almeno il doppio attendevano fuori. L’età media del pubblico – osservò – era sulla cinquantina: la “Generazione 1.000 Euro” era invecchiata, e adesso chiedeva il saldo.

Dopo l’arringa del Pubblico Ministero, si alzò e pronunciò il discorso che aveva preparato: non aveva bisogno di un avvocato, era stato lui stesso un Principe del Foro prima di dedicarsi alla politica. Ma sapeva che questa volta l’eloquenza non sarebbe servita a nulla: la sentenza di condanna era già scritta e infatti venne pronunciata, tra gli applausi generali, dopo pochi minuti.

L’uomo coi baffetti seguì le due guardie di nuovo nella cella dove avrebbe trascorso i venti anni successivi. Se non altro, avrebbe avuto molto tempo per leggere e per fantasticare di investimenti stranieri e di flessibilità.

*   *   *

“Gli sta proprio bene all’uomo coi baffetti – pensò Giovanni Dell’Acqua rileggendo le ultime righe che aveva scritto la sera precedente: la prima da quando era stato licenziato. Quindi chiese all’I-Chin come andava avanti la storia e lanciò le monete.

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