Anarchismo e rivoluzione

Questo articolo fa parte del primo Quaderno di formazione dei Giovani Comunisti di Pavia, stampato nel gennaio 2007 e dedicato appunto all’anarchismo. Pubblico quassù volutamente soltanto un estratto, relativo all’esperienza della guerra civile spagnola: se qualcuno è interessato a leggere il resto, si compri il Quaderno!

 

L’azione del movimento anarchico prima e durante la rivoluzione spagnola può essere considerata il principale, se non l’unico, banco di prova dei principi dell’anarchismo, applicati ad una situazione storica concreta.

I rapporti di forza
Il 19 luglio del 1936, al momento delle sollevazioni operaie e contadine di reazione al pronunciamiento militare, gli anarchici della CNT-FAI hanno una forza maggioritaria in Catalogna ed in altre zone della Spagna.
Sono gli stessi principi di fondo dell’anarchismo, tuttavia, che impediscono al movimento anarchico di prendere il potere: secondo le teorie libertarie, a determinare l’esito di un’azione non è il soggetto che la compie, ma le modalità entro cui essa si svolge; le leggi della politica e del potere sono autonome e non rispondono ad alcuna volontà ideologica.
In nome di questo principio, gli anarchici non sfruttano la loro obiettiva superiorità di forze, in quanto la loro ideologia afferma l’irrimediabile contrapposizione tra il politico ed il sociale, tra potere e rivoluzione. Di fronte alla scelta paradossale “o comunismo libertario, che significa dittatura anarchica, o democrazia, che significa collaborazione” (Garcia Oliver) gli anarchici optano per la seconda soluzione.
La conseguenza di questa scelta è il riconoscimento immediato della legittimità istituzionale della Generalitat, il governo autonomo della Catalogna.
Gli anarchici sono convinti di poter neutralizzare l’influenza di questo organismo statale (e dunque autoritario) con la creazione del Comitato centrale delle milizie antifasciste, il 23 luglio. Ed in effetti in una prima fase la Generalitat è un organismo sostanzialmente svuotato di funzioni, mentre il Comitato detiene il potere effettivo, frutto della rivoluzione.
Non si tratta tuttavia di un contro-potere rivoluzionario, assimilabile a quello dei Soviet in Russia dopo la rivoluzione di febbraio: il Comitato non mira a distruggere il governo, ed anzi al suo interno sono riprodotte le dinamiche rappresentative del governo “istituzionale”. Addirittura, la rappresentanza all’interno del Comitato delle forze politiche non anarchiche è superiore a quanto spetterebbe loro: gli anarchici hanno solo un terzo dei rappresentanti nella direzione centrale, nonostante il loro consenso reale sia superiore alla metà della popolazione. In sostanza, i Comitati sono sì frutto della rottura rivoluzionaria, ma, al contrario dei Soviet della rivoluzione russa, non hanno essi stessi natura rivoluzionaria.
Proprio questo farà sì che a poco a poco l’equilibrio delle forze si sposti dai Comitati alla Generalitat, fino al definitivo assorbimento di quelli in questa, il 3 ottobre 1936, subito dopo l’ingresso degli anarchici nel governo.
Tuttavia, fino all’autunno del 1936, l’equilibrio delle forze resta a favore della rivoluzione, come si deduce dalle massicce collettivizzazioni specialmente in campo agricolo (2213 collettività, che coinvolgono oltre 3 milioni di persone), ma anche in campo industriale e commerciale.

Anarchici al governo
L’entrata degli anarchici nei governi catalano e centrale (il 4 novembre 1936, con quattro ministri) smentisce di colpo tutti i principi anarchici: lo Stato diventa una variabile dipendente dalla volontà politica di chi ne detiene il potere, il potere sullo Stato non è condizionato dal potere dello Stato.
La giustificazione fornita dai dirigenti anarchici per la loro entrata nel governo è quella di impedire che “la rivoluzione deviasse e per continuarla al di là della guerra ed altresì per opporsi ad ogni eventuale tentativo dittatoriale” (Federica Montseny).
Viene abbandonata così l’antinomia fondamentale tra Stato e non-Stato, autorità e libertà, in favore di quella tra reazione e rivoluzione, destra e sinistra, classi superiori e classi inferiori.
È curioso come solo due mesi prima il Boletin de Informacion della CNT-FAI specificasse che l’esistenza di un governo di Fronte popolare, lungi dall’essere un elemento indispensabile nella lotta antifascista, corrispondeva qualitativamente ad una imitazione grossolana della stessa, e ribadisse il concetto che lo stato operaio è la fine dell’azione rivoluzionaria, e l’inizio di una nuova schiavitù politica.
L’ingresso degli anarchici al governo, e la contraddizione che questo comporta rispetto all’ideologia libertaria, viene già all’epoca duramente commentato da Sebastian Faurè: “Delle due l’una: se la realtà contraddice i principi significa che sono falsi […] Se al contrario i principi su cui riposa la nostra ideologia e la nostra tattica conservano tutta la loro validità, quali che siano i fatti, e continuano a valere oggi come ieri, allora dobbiamo essere loro fedeli. Allontanarsene, se pur in circostanze eccezionali e per breve tempo, significa commettere un errore ed una pericolosa imprudenza. Persistere nell’errore, implica una colpa le cui conseguenze conducono, a poco a poco, all’abbandono dapprima provvisorio dei principi e quindi, di concessione in concessione, all’abbandono definitivo dei medesimi”.

Guerra e rivoluzione
Per gli anarchici spagnoli, tuttavia, l’abbandono dei principi è reso necessario da una realtà che ad essi non si conforma; in sostanza, la rivoluzione non è avvenuta come gli anarchici per decenni si erano aspettati che avvenisse: “conciliare la necessità della guerra, la volontà della rivoluzione sociale, e le aspirazioni dell’anarchismo: ecco il problema […] Il dilemma guerra o rivoluzione non ha più senso; il dilemma è uno solo: o la vittoria su Francisco Franco mediante la guerra rivoluzionaria o la sconfitta” (Camillo Berneri).
Secondo gli stessi commentatori di ideologia libertaria, è stata la mancanza di una scienza politica anarchica a spingere l’anarchismo spagnolo ad accettare la scelta democratica della collaborazione tra le forze antifasciste, in omaggio alla priorità della lotta contro il nemico comune, e ad accettare infine la militarizzazione delle milizie e con essa la fine del potere rivoluzionario del popolo.

Una prospettiva marxista
Il percorso del movimento anarchico durante le vicende rivoluzionarie spagnole fornisce una chiave di lettura importante dei principi libertari, messi alla prova in una data situazione storica.
Alla prospettiva marxista di classe, che vede la contrapposizione tra borghesia e proletariato, gli anarchici – perlomeno in teoria – sostituiscono la contrapposizione tra Stato e non-Stato, potere e libertà.
Secondo i principi anarchici, la dittatura del proletariato è altrettanto negativa dello Stato capitalista e – al limite – del fascismo, in quanto essa è comunque espressione di Stato e di potere, e questi sono male di per se stessi, a prescindere dalla classe che ne detiene il controllo.
Ma il rifiuto del potere in quanto tale li porta in direzione esattamente opposta: non volendo guidare la presa del potere da parte dei lavoratori, che pure ne avevano le forze, gli anarchici lo cedono alle forze politiche controrivoluzionarie, pur essendo queste in minoranza, e con questo di fatto impediscono la vittoria della rivoluzione.
E come correttamente (sebbene con altri intenti ed in altra prospettiva) rilevato da Faurè, questo errore iniziale li porta a poco a poco a rinunciare a tutti i loro principi ed alle conquiste rivoluzionarie, per accettare in nome dell’unità antifascista ogni concessione alle forze riformiste e controrivoluzionarie.
L’errore fondamentale, che pone gli anarchici di fronte ad un drammatico paradosso, è dunque non cogliere la natura di classe del potere e dello Stato, e, di conseguenza, rinunciare alla conquista del potere da parte dei lavoratori. Di fatto, i libertari in Spagna rinunciano al potere in nome della rivoluzione, senza rendersi conto (o in alcuni casi – ed è questo l’aspetto tragico della vicenda – nonostante la consapevolezza) che il rifiuto del potere non può che portare alla sconfitta della rivoluzione.

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