Lapsis

Pubblico anche qui la mia recensione di Lapsis, ospitata su FantasyMagazine la scorsa settimana.

Grazie a Martina, che aveva un accredito stampa e ne ha scritto su FantasyMagazine, nei giorni scorsi ho potuto seguire alcune delle proiezioni (rigorosamente in streaming) del Trieste Science+Fiction Festival 2020.

Senza nulla togliere a un paio di godibilissimi e più o meno grotteschi lungometraggi di vampiri e zombie, un film su tutti merita di essere segnalato: Lapsis del regista americano Noah Hutton. Non ho idea se e come verrà distribuito in Italia, ma fatevi un piacere e cercatelo.

In un presente alternativo (ma non troppo) al nostro, una nuova tecnologia ha rivoluzionato l’intera economia: il quantum. Fondamentalmente, si tratta di un sistema di connessione informatica iper-veloce che consente comunicazioni e scambi in tempo reale. Tipo internet, insomma, ma meglio.

Curiosamente, una tecnologia su cui si regge l’intero sistema economico funziona grazie a una infrastruttura fisica ridicolmente semplice: cavi lunghissimi tirati da un “nodo” a un altro, a comporre una vera e propria rete. Tipo internet, insomma, ma peggio.

Tutta un’economia secondaria e sostanzialmente parassitaria è incentrata sulla figura dei “cablatori”, persone che trascorrono i fine settimana a scarpinare per le sconfinate foreste nordamericane trascinando questi cavi avvolti su dei carrellini con le ruote. Per ogni percorso completato, il cablatore riceve denaro e punti, che gli consentono via via di salire di ranking e ottenere percorsi migliori.

[Sta suonando un campanello? Forse è il rider di Deliveroo che vi consegna la pizza che avete ordinato su una sofisticatissima app dal vostro nuovo smartphone più potente di un computer.]

Apparentemente, il sistema funziona a meraviglia per tutti: i cablatori che arrotondano lo stipendio trascorrendo il weekend a passeggiare all’aria aperta, al punto che molti finiscono per farlo a tempo pieno; le agenzie che li ingaggiano trattenendo giusto una parte delle commissioni; la multinazionale delle telecomunicazioni che in regime di sostanziale monopolio sviluppa l’infrastruttura del quantum; tutte le altre multinazionali, a partire da quelle della finanza, che grazie al quantum aumentano gli scambi e i profitti.

Tutti felici e contenti grazie alla gallina dalle uova d’oro: basta accaparrarsi un “medaglione”, il device che consente di registrarsi a ciascun nodo, e iniziare a cablare. Così almeno recitano le pubblicità in cerca di nuove reclute. Una di queste nuove reclute è Ray, il protagonista del film. Dopo aver perso il lavoro, mosso dalla necessità di sostenere le cure per il fratello, affetto da “omnia” (una specie di sindrome da stanchezza cronica), è costretto a scendere a patti con la sua precedente diffidenza nei confronti della nuova tecnologia. Eccolo perciò iniziare a scarpinare, grazie al medaglione procurato dall’agenzia del losco Felix. Un medaglione che in precedenza era registrato al nome del misterioso “Lapsis”, famigerato nella comunità dei cablatori.

È solo una volta all’interno del sistema che Ray comincia a rendersi conto che dietro la facciata dorata dipinta dalle pubblicità si nasconde un sottobosco (letteralmente) di soprusi e iper-sfruttamento.


Si può discutere se il film di Noah Hutton appartenga a pieno titolo al genere della fantascienza, tanto è simile al nostro il mondo che descrive. Cambia (leggermente) l’oggetto, ma il sistema è davvero lo stesso. Enormi multinazionali che dispongono del monopolio su tecnologie sempre più sofisticate basano i loro profitti sullo sfruttamento intensivo del più elementare lavoro manuale: portare cose da qua a là.

Nella nostra società, è quello che fanno i rider che ci portano a casa la pizza, un’attività che sul sito di Deliveroo è presentata così:

“Fare il rider mi permette di stare all’aria aperta. Quando pedalo i problemi della mia vita spariscono, è una delle poche attività che mi permette di staccare completamente e non pensare ad altro.”

Salvo poi essere costretti a sottoscrivere contratti capestro se vogliono lavorare.

È quello che fanno gli autisti che ci portano a casa gli acquisti del Black Friday, raccontati con precisione da Ken Loach nel suo ultimo Sorry We Missed You! “Padroncini” spesso costretti a lavorare senza orari e senza tutele perché dei lavoratori autonomi hanno solo i rischi, mentre sopportano tutti i vincoli e lo sfruttamento tipici dei dipendenti.

In effetti, è quello che fanno anche i facchini di Amazon negli enormi stabilimenti della logistica per smistare le merci che verranno poi spedite: Amazon che un paio di anni fa ha brevettato un braccialetto elettronico che consentirebbe di massimizzare la produttività di quei facchini, forse non troppo diverso dal dispositivo che, nel film, consente ai cablatori di riposarsi solo in orari prefissati.

Fra i molti pregi di Lapsis il più notevole è probabilmente la chiarezza con cui mette a nudo, pur senza mai scivolare nel didascalico, il legame inscindibile tra sfruttamento e profitto. L’elemento chiave qui è rappresentato dai robottini che, in competizione con i cablatori umani, svolgono il loro stesso lavoro di trascinare i cavi lungo i medesimi percorsi e, se li completano prima, li privano del compenso. Si tratta di macchine create e perfezionate dalla stessa azienda che recluta i cablatori attraverso la sua rete di agenzie intermediarie. Verrebbe da chiedersi perché mai, a quel punto, non vengano utilizzati solo robot al posto degli umani, evitando così del tutto di pagarli. La ragione è che mentre le macchine automatizzate finiscono per “produrre” esattamente per il loro costo – un concetto rappresentato cinematograficamente dall’andamento necessariamente lento, ma costante, dei robottini – gli esseri umani possono sempre essere sfruttati un po’ di più, dormendo meno, o correndo più veloce: “sfida il tuo limite” è il messaggio riprodotto automaticamente ogni volta che un robot supera un umano lungo il percorso. Il profitto nasce precisamente da qui, dal fatto che a differenza delle macchine automatizzate i lavoratori umani producono sempre più di quanto “costano”. E in assenza di vincoli esterni (una legge, un contratto collettivo) il margine per aumentare il profitto, intensificando lo sfruttamento, è enorme.

Di fronte a questo stato di cose si può cedere al pessimismo, come l’ultimo Ken Loach, oppure indicare una via d’uscita. Va a maggior merito di Noah Hutton l’aver seguito questa seconda strada, mostrando chiaramente come l’unica possibilità di difendersi, per gli sfruttati, è innanzitutto prendere coscienza della propria condizione, ma soprattutto poi organizzarsi per lottare collettivamente. È una via difficile e richiede coraggio e sacrifici, ma non ci sono alternative.

Sta a noi fare in modo che non sia solo fantascienza.

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