L’Europa che mi piace

Ci siamo, domenica si vota per le elezioni europee. Da quando esiste questo blog, a ogni tornata elettorale ho sempre dichiarato in anticipo per chi avrei votato, e perché. Questa volta non lo farò.

Il fatto è che non sono per nulla sicuro su chi voterò – e per dirla tutta neppure se voterò. Il panorama della sinistra che si presenta a queste elezioni è terribilmente desolante, e in ogni caso nessuna delle due formazioni che si collocano a sinistra del Partito Democratico ha alcuna speranza di superare lo sbarramento. Entrambe hanno posizioni abbastanza lontane dalle mie sulla questione dell’Unione Europea: la mia posizione, per intenderci, è che questa istituzione, che rappresenta e non può che rappresentare il comitato d’affari dei padronati del continente, deve essere distrutta. La cooperazione internazionale, che invece di per sé è un valore fondamentale, dovrebbe avvenire su basi completamente diverse, slegate dagli interessi delle banche e delle multinazionali europee e funzionali invece al benessere dei lavoratori e dei cittadini. Non serve molto a dimostrare, oggi, come questi interessi siano in conflitto: basta pensare agli interessi sul debito pubblico e all’obbligo del pareggio di bilancio che impongono, ogni anno ormai da anni, manovre di lacrime e sangue.

Ora, sulla scheda elettorale, da un lato c’è La Sinistra, un’accozzaglia di reduci di mille sconfitte che hanno nel DNA l’idea di riformare l’Unione Europea per renderla a misura di lavoratore. A squalificare questa idea è il fatto stesso che il principale leader europeo di questo schieramento sia Alexis Tsipras: uno che avrebbe dovuto simboleggiare la lotta contro l’austerità e si è invece calato le braghe davanti a quelle istituzioni europee che dichiarava di voler combattere, incatenando i lavoratori greci a una miseria senza fine.

Dall’altro il Partito Comunista guidato da Marco Rizzo. La dice lunga, qui, l’endorsement di Diego Fusaro a questo movimento di ispirazione stalinista, che nel recente passato ha espresso posizioni quantomeno ambigue su temi chiave come l’immigrazione. Va detto che, se non altro, ha una posizione almeno in parte condivisibile sull’Unione Europea, predicando che se ne debba uscire.

Comunque, se alla fine voterò, sarà per una di queste due liste. Se non voterò, invece, non sarà per capriccio o per una questione di “purezza” fine a se stessa. Sento in questi giorni amici e conoscenti agitati per la necessità di votare per sconfiggere la destra sovranista montante. Molti di loro, alla fine, voteranno per il Partito Democratico.

Ecco, io invece non sento questa urgenza, anzi. Guardandomi intorno, leggendo degli striscioni, dei selfie-trappola, degli sfottò a Salvini, del ministro degli interni costretto a fuggire per evitare le contestazioni, ripenso alla parte finale della parabola di Matteo Renzi. Ma c’è di più stavolta: c’è la protesta degli studenti contro la sospensione della professoressa di Palermo, c’erano ancora stamattina decine di migliaia di ragazzi in piazza in tutta Italia per i Fridays For Future, ci sono i portuali di Genova che respingono una nave carica di armi costringendola a sbarcare in Egitto.

E allora il PD? Il PD organizza in giro per l’Italia – ad esempio nel mio quartiere un paio di settimane fa – convegni sul tema La contrapposizione tra sovranisti ed europeisti (e le sorti della democrazia liberale) in cui a sostenere le sorti della democrazia liberale è gente come Pietro Ichino, che al lavoratore medio fa solo venir voglia di votare i sovranisti. Ecco perché votare, ancora, il PD significa ostacolare e ritardare la fine dell'”era-Salvini”, e in qualche misura rafforzarlo, invece di combatterlo.

L’Europa che mi piace, e che spero di vedere domenica sera allo stadio di Reggio Emilia, è quella della Dea in Champions League. Forza Atalanta!

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