Mi hanno licenziato ingiustamente!

Sono finalmente uscite le motivazioni della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le “tutele crescenti”. In sintesi:

  • la Corte si è occupata soltanto – perché soltanto questo le è stato chiesto – del “meccanismo di determinazione dell’indennità” basato unicamente sull’anzianità di servizio, ossia delle c.d. tutele crescenti che riguardano, in particolare, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che venga dichiarato illegittimo: dal momento che sotto indagine era soltanto questo meccanismo (e non anche minimi e massimi del risarcimento), non incide sulla valutazione della Corte l’entrata in vigore del Decreto Dignità, che non ha in alcun modo intaccato il principio introdotto dal Jobs Act
  • le tutele crescenti contrastano innanzitutto con il principio di eguaglianza, che impone di non trattare in modo uguale situazioni che possono essere diverse: anche a parità di anzianità di servizio – unico parametro previsto dalla norma – un licenziamento ingiusto può produrre danni molto diversi a seconda dei casi concreti; non è corretto dunque che sia precluso al giudice l’esame di questi casi concreti per una più equa determinazione del risarcimento del danno
  • la norma è incostituzionale anche perché viola il principio di ragionevolezza, perché il risarcimento quantificato in modo fisso in base all’anzianità lavorativa non può “costituire un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subito dal lavoratore a causa del licenziamento illegittimo e un’adeguata dissuasione del datore di lavoro dal licenziare illegittimamente“: insomma, è troppo poco.

La Corte perciò stabilisce – e la sentenza vincola tutti i giudici del regno – che per determinare il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo il giudice continuerà a tenere conto “innanzi tutto” dell’anzianità di servizio, ma valuterà anche i criteri costituiti da “numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti“: in pratica, il giudice dovrà determinare il risarcimento tra il minimo di 6 mensilità e il massimo di 36, tenendo in considerazione non solo l’anzianità di servizio, che rimane comunque il criterio principale, ma anche l’organico e il fatturato del datore di lavoro, e in generale il comportamento e le condizioni delle parti. È sostanzialmente la soluzione che aveva provvisoriamente escogitato un mese fa il Tribunale di Bari, e che in effetti sembrava a molti – me compreso – la più corretta in base a quanto si sapeva all’epoca del giudizio della Corte Costituzionale: per avere un’idea della differenza, a una lavoratrice che avrebbe ricevuto, secondo le regole delle tutele crescenti, sei mesi di stipendio, il giudice ne ha riconosciute dodici.

Attenzione, la Corte non ha abolito il Jobs Act, ma soltanto il meccanismo di determinazione del risarcimento del danno in caso di licenziamento illegittimo. Non cambiano, in particolare, né i criteri in base ai quali un licenziamento è giudicato legittimo o illegittimo (che del resto né il Jobs Act né la Fornero avevano minimamente affrontato), né il principio generale che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non sia mai prevista la reintegrazione. Né ci si può attendere che i risarcimenti aumentino di moltissimo, tenuto conto che il criterio principale rimane comunque l’anzianità di servizio, e la norma si applica sempre a chi è stato assunto dal marzo 2015. Meglio di niente però.

E così, per la terza volta nel giro di sei anni, dopo Fornero e Jobs Act cambiano di nuovo le regole del gioco sui licenziamenti illegittimi: prevedo che non passerà un anno senza che non cambino di nuovo. Intanto provo a fare qui sotto un riassunto. Per semplicità, lo schema riguarda soltanto i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (es. per riduzione del personale, difficoltà economiche, etc.) intimati da datori di lavoro con più di 15 dipendenti (compresi i licenziamenti collettivi): per i licenziamenti discriminatori (o comunque nulli), per quelli disciplinari e per tutti i licenziamenti intimati da imprese più piccole, infatti, cambia assai poco. Inoltre do per scontato, in questo esempio, che il licenziamento venga comunque dichiarato illegittimo, a prescindere dal tipo di sanzione che verrà applicata: come ho scritto, infatti, i criteri in base a cui un licenziamento è considerato legittimo o illegittimo sono sempre identici. Ecco dunque che cosa dirò a un lavoratore licenziato ingiustamente:

LAV. Mi hanno licenziato ingiustamente!

AVV. Quando ti avevano assunto?

LAV. Il 6 marzo 2015. La ditta ha una trentina di dipendenti.

AVV. Ah, ma pensa, il giorno prima che entrasse in vigore il Jobs Act. Dal momento che si tratta di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, se il giudice ci darà ragione condannerà il datore di lavoro a pagarti un risarcimento da dodici a ventiquattro mensilità, a seconda un po’ di come gli gira, ma tenendo conto soprattutto degli anni che hai lavorato, di quanto è grande l’azienda, di quanto poco sta in piedi la motivazione del licenziamento. Nel tuo caso, dal momento che lavoravi lì da relativamente poco e parliamo di un’impresa medio-piccola, possiamo aspettarci se vinciamo intorno alle 15-18 mensilità, a seconda di come va la causa.

LAV. Ma non mi ridà il posto di lavoro?

AVV. Con la legge Fornero è molto difficile, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Soltanto se il giudice ritenesse le motivazioni del licenziamento “manifestamente infondate” potrebbe, ma non sarebbe obbligato, condannare il datore a reintegrarti e a pagarti tutti gli stipendi arretrati. Ma capita davvero poco spesso con questo tipo di licenziamenti.

LAV. Ah ma sa una cosa?

AVV. Cosa?

LAV. Ho sbagliato, l’assunzione è dal 7 marzo 2015, non dal 6.

AVV. Ecco, mi sembrava strano! Allora si applica il Jobs Act: in questo caso la reintegrazione è sicuramente impossibile e ti spetta soltanto il risarcimento del danno. La forbice non è più fra 12 e 24 mesi di stipendio, ma fra 6 e 36: probabilmente nel tuo caso più vicino ai 6, magari intorno ai 12, a seconda della sensibilità del giudice.

LAV. E allora daje!

AVV. Daje.

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