Capitalismo rosso sangue

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Di tutti i modi con cui avrei potuto riprendere il filo del discorso su questo blog, l’omicidio di un operaio davanti allo stabilimento che stava picchettando è il più doloroso. Ma la morte di Abd Elsalam Ahmed Eldanf non può passare sotto silenzio, nonostante a distanza di due giorni sia già relegata in fondo alle pagine di cronaca dei giornali principali, e specialmente mentre si consuma il tentativo di derubricare la vicenda a episodio accidentale, e perfino di incolparne la vittima.

La ricostruzione del procuratore capo di Piacenza (cioè di quello che dovrebbe condurre le indagini per l’accusa!), infatti, è che Abd Elsalam sia andato da solo incontro al TIR, mentre non era in corso alcuna manifestazione di protesta. Tesi che risuonano in modo inquietante con quelle usate per la morte di Carlo Giuliani o, più indietro nel tempo, per quella di Giuseppe Pinelli. Nel frattempo l’autista del TIR che l’ha travolto è stato scarcerato in attesa del processo, perché non ci sarebbe pericolo di fuga (ma di inquinamento delle prove no?): probabilmente finirà per scontare una minima condanna per omicidio colposo, con ogni attenuante possibile. Sarà un’ingiustizia, ma non la più grave: perché il vero colpevole, come in tanti stanno giustamente ripetendo in questi giorni, è il capitalismo stesso.

Non c’è nulla di accidentale nell’omicidio di Abd Elsalam. Non è accidentale che fosse un operaio della logistica, un extracomunitario, un sindacalista. La logistica è uno dei pochi settori industriali che, in controtendenza con la crisi, ha conosciuto in questi anni un’espansione: ma all’aumento vorticoso dei ritmi di lavoro, specie nei periodi di picco, non è corrisposto alcun miglioramento delle condizioni di lavoro. A migliorare sono stati solo i profitti, grazie a uno sfruttamento sempre più intenso.

In questo ambito si sono sviluppate le lotte sindacali più accese, accompagnate dalla repressione più feroce: una pioggia di licenziamenti e sanzioni disciplinari per chiunque osi criticare il sistema fuori dagli schemi concertativi delle burocrazie sindacali (come nel caso dell’Esselunga di Pioltello, qualche anno fa, o più recentemente all’UPS di Milano), organizzazione del crumiraggio, provocazioni di ogni tipo sfociate già in passato anche in scontri violenti.

Il ricatto di multinazionali che incoraggiano la competizione al ribasso dei prezzi, una filiera produttiva lunghissima dal committente all’ultimo dei sub-appaltatori, ognuno dei quali cerca di spremere la sua quota di profitto dall’iper-sfruttamento degli operai, approfittando delle maglie larghe, larghissime, del sistema delle cooperative, che in nome e allo stesso tempo in spregio degli sbandierati principi di solidarietà e condivisione praticano impunemente condizioni di lavoro semi-schiavistiche: sono le condizioni ideali per osservare il capitalismo nella sua forma più pura, libero dai legacci che un secolo di lotte sindacali hanno imposto al padronato, libero qui di combattere la guerra di classe con tutte le armi.

Abd Elsalam è una delle tante vittime di questa guerra, come lo sono le centinaia di operai morti sul lavoro (l’ultimo questa mattina all’Ilva di Taranto), ma ciò che rende la sua uccisione ancora più grave è il fatto che sia caduto in prima linea, mentre combatteva per i diritti suoi e dei suoi compagni e proprio a causa del fatto che stesse combattendo.

L’unico modo per onorare la sua memoria è continuare la sua battaglia. Il sistema capitalista è già stato condannato dalla storia: tocca a noi eseguire la sentenza e spazzarlo via.

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