Il borsino delle ingiustizie

12 agosto. Tra un’oretta chiudo tutto e vengo via, ma prima di chiudermi la porta dello studio alle spalle per tre settimane provo a mettere un po’ d’ordine tra i fascicoli che sono finiti sulla mia scrivania in questo 2015/2016, e confrontare questa approssimativa statistica con quelle altrettanto approssimative degli anni scorsi.

Su un campione di una cinquantina di nuove pratiche (dunque non conto quelle che sono proseguite dall’annata precedente, così come non considero “pratiche” le vicende per cui mi sono limitato a fornire un parere, ma solo quelle per cui ho perlomeno scritto alla controparte), quelle in cui un lavoratore subordinato a tempo indeterminato ha perso il posto di lavoro continuano a essere la maggioranza: come lo scorso anno sono poco più di un terzo del totale. Non tutti sono tecnicamente “licenziamenti”: in alcuni casi si tratta di recessi durante il periodo di prova, in altri (come questo) di finte dimissioni, in altri ancora di cooperative che, pur senza licenziare il socio lavoratore, lo lasciano senza lavoro e senza retribuzione, in virtù (e anche in abuso, in molti casi) dei “privilegi” che la legge concede loro. La mia idea personale, considerato che la stragrande maggioranza dei soci lavoratori di cooperative subisce condizioni – retributive e normative – notevolmente peggiori ed è ancora più ricattabile dei dipendenti di società “normali”, è che dovrebbe essere vietato alle cooperative di svolgere attività economiche in forma d’impresa (sì, anche modificando la Costituzione, se necessario). I licenziamenti et similia che mi sono ritrovato ad affrontare sono quasi tutti per (asserite) ragioni economiche, e cominciano ad arrivare anche i primi licenziamenti di lavoratori assunti con il jobs act: per costoro la prospettiva è decisamente grama – ben che vada, anche se lavorano per aziende con più di quindici dipendenti e anche se le ragioni del licenziamento sono palesemente fasulle, otterranno in risarcimento quattro mesi di stipendio; il posto di lavoro, invece, se lo possono scordare, con buona pace dei proclami del governo che pure aveva pagato profumatamente le aziende in incentivi pur di poter sbandierare una inesistente inversione di tendenza.

L’altro grosso campo di intervento è il mancato pagamento di retribuzioni e/o TFR. In diversi casi (come in questo) la vicenda assume contorni inequivocabilmente loschi, e per recuperare almeno una parte del malloppo è necessario passare attraverso le lungaggini di un fallimento; in altri – quelli in cui alla fine si riesce a ottenere soddisfazione senza ricorrere al Fondo di garanzia dell’INPS – invece sembra più un tentativo di piccole aziende in difficoltà di rimanere a galla posticipando i pagamenti (a scapito dei propri dipendenti che a loro volta hanno mutui, famiglie, etc.). In un numero fortunatamente piccolo di casi è sostanzialmente impossibile riuscire a recuperare qualcosa: è passato troppo tempo, l’impresa è troppo piccola per fallire e comunque i crediti non sono coperti dall’INPS. Forse se i datori di lavoro insolventi rischiassero davvero qualcosa, questi casi diminuirebbero.

Le controversie sui precari sono diminuite considerevolmente, e sono più che dimezzate rispetto a due anni fa. Sono le conseguenze prevedibili delle riforme che si sono accavallate negli ultimi anni, dalla Fornero fino al jobs act passando per il “decreto Poletti” del 2014. Contratti a termine e in somministrazione non sono ovviamente spariti, ma è sparita sostanzialmente la possibilità di impugnarli dal momento che l’unico limite alla possibilità di mantenere questo tipo di contratti precari è quello dei 36 mesi – un limite che le aziende non hanno difficoltà a rispettare. In quest’ultimo anno me ne sono capitati giusto un paio, probabilmente gli ultimi tra quelli stipulati prima di marzo 2014. In compenso sono diversi i casi di lavoro nero, di lavoro solo formalmente autonomo e anche di abuso di voucher (di cui ho parlato qui).

Nel restante (circa) venti per cento spiccano le controversie relative a infortuni, causati perlopiù dall’inosservanza dei presidi di sicurezza da parte del datore di lavoro.

Se vi interessano i bilanci degli anni scorsi, sono qui, qui e qui. Io adesso stacco per un po’, ne riparliamo a settembre.

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