Nostalgia canaglia 4 – La stazione

Sono stato pendolare per più di dieci anni, da luglio 2003 a questo febbraio 2015. Non c’è probabilmente luogo di Pavia verso il quale provi sentimenti così contrastanti come la stazione.

La verità è che, per quanto possa sembrare bizzarro, specie per chi non si è mai spostato in treno per lavorare, ho amato viaggiare ogni giorno. In quella mezzora tra Pavia e Milano ho letto innumerevoli libri, conosciuto decine di persone, scambiato opinioni e racconti.

La stazione stessa, quella di Pavia s’intende, è un luogo di ricordi a cui sono affezionato. Fuori dalla stazione ad esempio conobbi M., era l’inizio di giugno del 2006. La incrociavo ogni mattina mentre correvo a prendere il treno: lei mi offriva il giornale gratuito che distribuiva sul piazzale, io le rispondevo “no grazie” sollevando il libro dalla borsa; lei sorrideva e io altrettanto, prima di scomparire verso i binari. Fu questo scambio di sorrisi, oltre al fatto che lei fosse straordinariamente carina, a incoraggiarmi una mattina che non avevo fretta a invitarla a colazione, quando avesse finito i giornali. Quando penso alle settimane successive non posso fare a meno di sorridere, ma è un sorriso un po’ malinconico perché dopo appena quindici giorni lei tornò in Slovenia: era in Erasmus, e io mi sentii un cretino per non averla invitata prima. Mi consolai un paio di settimane dopo con la vittoria dei mondiali e i risultati degli scritti dell’esame di avvocato.

Fortunatamente le amicizie nate sul treno sono state quasi sempre meno fugaci e tutte importanti, anche quelle che non hanno resistito al progressivo, inevitabile sfilacciarsi del gruppo, tra chi ha cambiato città (prima di me), chi lavoro, chi orari. La compagnia è il vero valore aggiunto del viaggio, in grado di superare la maggior parte delle molte avversità di cui è costellata la vita del pendolare. Sono certo di non essere l’unico, ad esempio, a ricordare quella serata di inizio estate quando la locomotiva che conduceva il nostro treno a Pavia prese fuoco. Dopo un tempo interminabile chiusi nel vagone soffocante, il convoglio raggiunse la stazione di Certosa. Intorno a noi in tanti avevano comprensibilmente perso la pazienza, ma noi no: in attesa che qualcuno venisse a prenderci in macchina, ci sedemmo fuori nella veranda del bar della stazione, brindando con birra gelata al tramonto appena velato dal fumo della locomotiva.

Non vorrei però che mi si prendesse per una Pollyanna ferroviaria. Nella maggior parte dei casi imprevisti anche meno estremi del treno in fiamme sono insopportabilmente molesti. E a essere molesto è soprattutto il fatto che guasti, ritardi, affollamenti e praticamente ogni genere di disservizio che si possa immaginare sono tutt’altro che infrequenti, al punto che non sono neppure davvero imprevisti: in certi periodi, a essere imprevisto è piuttosto un viaggio in cui fila tutto liscio.

Sul tema ho scritto in passato un paio di post (uno con l’amica Cristina) e un racconto. Se ho un cruccio, è quello di non essere riuscito a veder realizzato il mio sogno di uno sciopero dell’abbonamento dei pendolari: anni fa avevo pensato a una possibile campagna di sensibilizzazione, Un applauso per i pendolari, ma non ha mai superato i confini del mio sito. Magari nei prossimi giorni proverò ad abbozzare un manifesto del pendolare rivoluzionario da lasciare in eredità a quelli tra i miei amici e compagni che da meno tempo di me viaggiano tra Pavia e Milano: chi è interessato all’idea si faccia vivo.

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