L’anno che verrà

L'anno che verrà

Ultimo giorno di lavoro, ancora una volta provo a tracciare un bilancio, soggettivo ma ragionato, di quest’altro anno trascorso su barricate di carta, in attesa di barricate vere che per il momento scarseggiano.

Inaspettatamente, ho avuto sufficiente pazienza per proseguire il registro delle pratiche che avevo cominciato a raccogliere all’inizio del 2013: così la base statistica delle mie riflessioni quest’anno è un po’ più ampia, dallo scorso autunno a oggi. Siamo sempre lontanissimi da qualsiasi attendibilità scientifica, ma alcune linee di tendenza mi sembrano piuttosto chiare, e inquietanti.

Su una cinquantina di nuove pratiche, quasi la metà riguardano retribuzioni o comunque compensi non pagati. Questo tipo di controversie era già una componente significativa negli anni passati, ma in questi ultimi dodici mesi è aumentato notevolmente: chi parla di ripresa economica, semplicemente, tenta di ingannarci. In circa un terzo dei casi, le imprese che non hanno pagato stipendi e altri emolumenti sono fallite (prima o durante la procedura di recupero del credito) scaricando in questo modo gli oneri sul Fondo di garanzia dell’INPS, per la quota che l’Istituto può rimborsare, e sugli stessi lavoratori: quelli che erano dipendenti perlomeno riusciranno a prendere il TFR e gli ultimi tre mesi di stipendio (ma perderanno tutti i mesi precedenti, l’eventuale preavviso, ferie e permessi non goduti), quelli che non erano assunti ma lavoravano a progetto, o in regime di partita IVA, perdono tutto, o quasi. Sarebbe davvero necessario introdurre qualche forma di responsabilità personale per gli imprenditori, in modo che l’espressione “rischio d’impresa” abbia un qualche significato.

Sono aumentati leggermente anche le controversie che riguardano contratti precari, ancora con prevalenza dei contratti a termine: non hanno ancora fatto in tempo a consolidarsi gli effetti della riforma Renzi, perché ovviamente anche le pratiche più recenti riguardano contratti stipulati prima della sua entrata in vigore. Per quelli stipulati dopo, invece, non ci sarà niente da fare se non in casi davvero estremi: questa quota è destinata a scendere, tra un anno vedremo se ho ragione.

Nettamente diminuite le controversie per licenziamento, poco più di un decimo del totale, equamente suddivise tra imprese sopra e sotto i 15 dipendenti. Segno forse che il grosso dei licenziamenti individuali è stato fatto nel primo anno dopo la modifica dell’articolo 18, mentre le nuove assunzioni sono in gran parte precarie e non prevedono licenziamento, ma solo scadenza del contratto. La riforma Fornero dunque sembra aver raggiunto l’obiettivo, che in fondo era quello di sostituire “costosi” lavoratori a tempo indeterminato con più economici precari. Obiettivo raggiunto, ma evidentemente non del tutto, visto che Renzi ha dovuto calare il carico da novanta.

Tra il restante 15% circa di pratiche, spiccano quelle legate alla dequalificazione: pagare un dipendente per mansioni inferiori a quelle che effettivamente svolge, del resto, è solo un altro modo per tagliare il costo del lavoro, sempre sulla pelle del lavoratore.

Insomma, se cercate buone notizie, non guardate nelle aule di tribunale: speriamo di trovarne il prossimo autunno nelle piazze. L’anno che sta arrivando tra un anno passerà: ma se ci prepariamo, sarà questa la novità.

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