Grammatica della fantasia

Capita, ogni tanto, di imbattersi abbastanza casualmente in libri che risplendono di luce propria. Te ne accorgi subito quando succede, fin da quando li intravedi in uno scaffale di libreria o su un banchetto di usati.

Grammatica della fantasia di Gianni Rodari è uno di questi libri. Lo trovai in una bancarella a Ferrara, durante il Festival di Internazionale di qualche anno fa (la gita è citata per un buffo aneddoto in un commento a questo vecchio post): lo acquistai per pochi Euro e immediatamente mi venne sequestrato da mia sorella, con l’inganno. E a casa di mia sorella l’ho ritrovato un paio di mesi fa, dopo che Wu Ming 2 citandolo durante il Cantarchivio mi aveva fatto venir voglia di ricomprarlo.

Finalmente l’ho letto e rimpiango di non averlo fatto prima. Ma il rimpianto sarebbe maggiore se Ponyo il coniglio si fosse mangiato una discreta parte del libro prima, e non dopo che l’ho finito.

Io spero che il libretto possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione; a chi ha fiducia nella creatività infantile; a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola. ‘Tutti gli usi della parola a tutti‘ mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo.

Nell’introduzione Rodari spiega già molto del senso profondo della sua opera: un libro sull’arte di inventare storie ma soprattutto sull’importanza della fantasia, dell’invenzione, del narrare, come strumento di emancipazione alla portata di chiunque. Non è un principio astratto: la grammatica  è costellata di esempi, spiegazioni, variazioni sul tema, oltre ad essere un eccezionale vademecum su come si creano, e soprattutto perché funzionano le buone storie.

Al centro di tutto il discorso, dicevo, stanno immaginazione e creatività. E anche se si parla soprattutto di storie per l’infanzia e dell’educazione dei bambini, è evidente il ruolo fondamentale che immaginazione e creatività hanno, o almeno dovrebbero avere, nella vita di tutti gli individui e dell’intera società.

Perché immaginare è anche immaginare un mondo migliore, e la creatività è necessaria per cercare di realizzarlo: “Non è certo vietato immaginare una città futura in cui i cappotti siano gratuiti come l’acqua e l’aria“, scriveva Rodari nel 1973. E ancora: “[nel 2017] sembrerà di cattivo gusto sfruttare il lavoro altrui e mettere in prigione gli innocenti e i bambini, invece, saranno padroni di inventarsi storie veramente educative anche sulla cacca“.

Di passaggio, la distanza della nostra società dalla previsioni di Rodari è una buona misura di quanto il nostro mondo sia peggiorato, invece di migliorare, in questi quarant’anni: riappropriarsi della capacità collettiva di inventare storie è un modo per invertire la rotta.

Solo fornendo gli strumenti perché tutti possano immaginare e creare è anche possibile una educazione collettiva alla fantasia, la garanzia migliore che la creatività, una volta alla portata di chiunque e non solo di pochi professionisti, mantenga la sua libertà e la sua funzione rivoluzionaria e non divenga invece la guardia del conformismo e della conservazione. Un pericolo, quello del cattivo uso di una fantasia alla portata di pochi, già avvertito all’epoca.

È facile notare l’attualità e la centralità di questo programma, perfettamente in linea con le riflessioni di autori e libri di questi ultimissimi anni, da Valerio Evangelisti a Wu Ming, sull’importanza di creare un controimmaginario che smonti la cornice in cui siamo finiti rinchiusi, e di diffondere gli strumenti necessari perché questa diventi un’operazione collettiva.

Grazie tante: “cercansi persone creative” perché il mondo resti com’è. Nossignore: sviluppiamo invece la creatività di tutti, perché il mondo cambi.

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