Non fidarsi era meglio

È stata pubblicata ieri, e perciò è in vigore da oggi, la legge di conversione del decreto lavoro, che troverò nel mio prossimo codice del lavoro sotto il nome di legge n. 78/2014. Come ampiamente previsto, dopo una farsesca discussione su aspetti del tutto marginali, il governo ha posto la questione di fiducia sia al Senato che alla Camera, e non ci sono state sorprese.

Per dovere di cronaca, cerchiamo di capire come cambiano i contratti a termine e l’apprendistato, sia rispetto al decreto originario (spoiler: ben poco) che rispetto alla situazione precedente.

CONTRATTI A TERMINE

Lo si è detto in tutte le salse: la riforma elimina l’obbligo per il datore di lavoro di indicare nel contratto il motivo concreto di qualsiasi assunzione a tempo determinato (anche tramite agenzia). In sostanza, sarà sempre possibile stipulare contratti a termine, per 36 mesi; l’unico limite è la quota massima del 20% di assunti a tempo determinato rispetto all’organico complessivo: ma, se non bastava il fatto che si tratta di un limite praticamente invalicabile per la stragrande maggioranza delle aziende, in sede di conversione è stato espressamente stabilito che l’eventuale sforamento della percentuale comporta solo una multa, non l’assunzione.

Sembra che questo ennesimo, superfluo regalo agli imprenditori più straccioni sia stato la contropartita per il “cedimento” sul fronte del numero di proroghe consentite nell’arco dei 36 mesi: erano 8 nel testo originario, sono diventate 5. Credo che molti non abbiano neppure compreso di che cosa si stesse discutendo. In parole povere, ferma la scadenza dei 36 mesi, al datore di lavoro è consentito spezzettare ulteriormente il rapporto, in modo da avere un’arma di ricatto più incisiva: il decreto prevedeva la possibilità di 8 proroghe, consentendo quindi di frammentare il rapporto di lavoro in scadenze di 4 mesi in 4 mesi (un contratto iniziale + 8 proroghe; 36 mesi / 9 = rinnovi di 4 mesi); adesso sono diventate 5: ad esempio, un’azienda potrà assumere un dipendente con un contratto di 6 mesi (invece che 4, wow!), e per cinque volte decidere se rinnovargli il contratto di altri 6 mesi oppure no. In base a che cosa deciderà se rinnovare quel contratto o assumere un altro precario di quelli che fanno la coda fuori dalla porta, lo lascio alla vostra immaginazione. E ben inteso, se anche arrivasse al quinto rinnovo, dopo tre anni ritorna a casa.

APPRENDISTATO

Qualcuno si dev’essere accorto che levare in un colpo solo il programma di formazione e un numero minimo di stabilizzazioni per poter assumere nuovi apprendisti era un po’ troppo sfacciato: perché chiamarlo “apprendistato” a quel punto? Sarebbe stato più pertinente, che so, “sottocosto”. Ma il leone della Euronics aveva già la querela per plagio pronta, così hanno pensato bene di tornare sui loro passi.

Naturalmente è una finta: allegare al contratto un piano di formazione su moduli prestampati, infatti, non implica che la formazione si farà davvero, tanto nessuno può controllare. Se viene indicato che le ore di formazione siano “almeno il 35%” dell’orario complessivo, è solo per quantificare il risparmio per le aziende: in pari misura infatti potranno essere decurtate le retribuzioni. E se  nelle ore previste per la formazione in realtà non si smette di lavorare? Vallo a dimostrare.

Quanto alle stabilizzazioni necessarie per le nuove assunzioni in apprendistato, la condizione opera solo per i datori di lavoro con almeno 50 dipendenti, e comunque basterà che su cinque apprendisti se ne salvi uno. Come le sorprese speciali dell’ovetto Kinder. Tanto per capirci, tocca rimpiangere la Fornero che, bontà sua, pretendeva che almeno il 50% degli apprendisti fosse stabilizzato (il periodo pre-Fornero ormai è difficile ricordarlo, ma vale la pena provarci perché in fondo risale a due anni fa: l’obbligo di stabilizzazione era del 100%).

È SOLO L’INIZIO

Con la legge di conversione è cambiato, rispetto al decreto originario, il cappello introduttivo, lo spiegone del “come si è arrivati a questo”: non ha alcun valore sostanziale, ma mi pare interessante confrontare i due testi. Mentre prima era tutto una “straordinaria necessità e urgenza” di semplificare questo e quello (anche perché altrimenti non si spiegava come mai avessero tutta questa fretta di emanare un decreto legge), adesso la situazione è più chiara: “considerata la perdurante crisi occupazionale e l’incertezza dell’attuale quadro economico … nelle more dell’adozione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tempo indeterminato a protezione crescente …

Eccolo, il prossimo mostro. Gli ultimi ci hanno presi tutti a mazzate, ma ora un po’ di tempo c’è: vogliamo provare a organizzarci per combatterlo?

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5 comments

  1. Mi sono resa conto solo ora di un “dettaglio”: a quanto so, la formazione di nuovi assunti prende tempo. A quanto ho capito, con il Jobs Act l’azienda non ha più solo sei mesi ma ben tre anni per scegliere tra assumere a tempo indeterminato e licenziare un dipendente.

    La butto giù dal punto di vista di un’azienda, e in maniera brutale (non è che il punto di vista dell’azienda sia gentile, no?)

    Assumiamo che il tempo “di formazione” sia un mese e mezzo (uso una cifra comoda): su sei mesi sono il 25%. Se licenzi per tenere solo precari, quindi più ricattabili, per ogni assunto perdi il 25% della spesa. Ma su tre anni un mese e mezzo diventano poco più del 4%: il giochetto “ti tengo precario finché posso e poi a casa” diventa molto più conveniente.

    Così, tanto per fare due conti in tasca dall’altra parte della barricata.

  2. Ecco, appunto: in cambio di niente.

    Ho letto due uscite di Renzi in rapida successione. Ero basita. E sto in un Paese con un governo di “Old Etonian” Tory.

    La prima: mobilità per i dipendenti pubblici. Penso ai dipendenti del Consolato Italiano di Londra, che nei brevi orari di apertura trattano a pesci in faccia chiunque si presenti (con una particolare predilezione per il “tu,” soprattutto se non hai la pelle chiara). Penso alla mia insegnante di matematica del liceo, incapace di parlare in italiano (tradotto in pratica: se hai soldi per le ripetizioni saprai la matematica, se no c***i tuoi). Penso a quelli che invece fanno il loro lavoro, e doppio per rimediare ai danni altrui, per colpa dei quali il loro lavoro è un insulto. Bah, potenzialmente…

    Ma… non è che…?

    Il giorno dopo: 15mila nuovi posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione. Ma… non è che… il tutto serve a mandar via i non allineati a favore di… ehm…? Che poi ricordi di aver letto, e ti secca linkare Il Giornale, ma è il primo che trovi su Google, e non credo che Repubblica ne parli… http://www.ilgiornale.it/news/interni/affari-cognato-imbarazzano-renzi-978570.html

    [Insulti a scelta.]

    Morale: né sinistra (ovvio) né destra (senti: la Thatcher lo prenderebbe a calci in c**o, e lungi da me scriver bene della Thatcher). Solo schifo.

  3. Io non credo ci sia solo un elemento clientelare (o di spoil system) in questo turn over. Piuttosto, la motivazione principale mi sembra un forte taglio ai salari. Bisogna anche vedere che assunzioni saranno: se tanto mi dà tanto, di posti a tempo indeterminato ce ne saranno pochi.
    Francamente non ho il mito della Thatcher grande statista: per intenderci, per me “solo schifo” pure lei. Difficile comunque fare un confronto considerate le differenze di epoca e Paese. La ferocia contro l’idea di un’organizzazione collettiva dei diritti dei lavoratori, però mi sembra esattamente la stessa.

  4. Nuovi assunti, quindi a salario minore; e per di più precari, così non c’è nemmeno bisogno di appellarsi a questa mobilità di legge – basta quella del precariato, ormai data per normale (vedi il tuo post recente)? Hai ragione, come ragione basta – a “bassi livelli”. Ad “alto livello”, invece, penso che il nepotismo sia la forza maggiore. (Virgolette perché “alto” e “basso” sono considerazioni di salario, non di bontà del lavoro.)

    Nemmeno io ho il mito della Thatcher, figuriamoci. Anzi: il paragone era per sottolineare quanto la statura di Renzi fosse davvero minima. Hai ragione invece su come un paragone tra due situazioni così diverse non possa che essere tenue.

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