Di carta e di celluloide – marzo 2014

Gli straordinari gentlemen su 300 L'alba di un impero

Perché non si pensi che inizio un esperimento e poi lo lascio a metà, proseguo con la rassegna mensile delle mie letture e visioni cinematografiche.

LIBRI

Alan Moore, Kevin O’Neill, La Lega degli straordinari gentlemen, vol. 2 * * * * *

Prosegue il viaggio di Alan Moore nell’immaginario fantastico di fine Ottocento. La squadra speciale al servizio dell’intelligence britannica è rimasta invariata, con il Capitano Nemo, Allan Quatermain, Mina Murray, Henry Jekyll e L’uomo invisibile. La minaccia questa volta è rappresentata dall’invasione marziana che colpisce Londra: La guerra dei mondi è ovviamente soltanto una delle fonti incorporate in questa storia, che riunisce ancora una volta il non plus ultra della letteratura fantastica dell’epoca in un insieme di incastri suggestivi, nel più classico dei What If? L’operazione di ribaltamento della “mitologia” vittoriana prosegue nell’appendice solo testuale, i “diari” di viaggio di Mina Murray, in cui sono riprese e stravolte favole che non era possibile integrare nel racconto principale: che ne è stato di Alice al ritorno dal Paese delle meraviglie e dopo essere rientrata dallo Specchio?

Wu Ming 2 e Antar Mohammed, Timira * * * * *

Da quando ho letto Point Lenana mi ero ripromesso di riprendere in mano Timira, il libro parallelo a quello di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara: finalmente ne ho avuto l’occasione e ne è valsa decisamente la pena, anche per cogliere (almeno in parte) il gioco di rimandi tra questi due romanzi che hanno in comune il discorso sull’Italia coloniale e quello sulla scrittura come processo anche collettivo di ricerca, il punto di vista eccentrico, la varietà delle forme e degli stili, il messaggio al presente che il passato peggiore è sempre pronto a tornare e in qualche modo cova dentro ognuno di noi, se non si sta in guardia. La storia di Isabella Marincola è altrettanto particolare e avvincente di quella di Felice Benuzzi, meritava di essere dissepolta e raccontata, e dubito ci fosse un modo migliore di narrarla di quello trovato da Wu Ming 2 con il figlio di Isabella.

FILM

Bong Joon-ho, Snowpiercer * * *

Dopo una letale glaciazione dovuta al maldestro tentativo di contenere l’effetto serra, l’intera umanità superstite viaggia a bordo di un treno spinto da un motore perpetuo. Il treno è diviso in classi: in testa i ricchi che conducono una vita agiata e in coda i poveri che mangiano, quasi letteralmente, merda. Ma i poveri, faticosamente, si sono organizzati e cercheranno di avanzare il loro status…

L’idea di fondo è affascinante, perciò avevo riposto parecchie attese su questo film, attese soddisfatte nel primo tempo, che rende in modo efficace e originale alcune dinamiche della lotta di classe: la difficoltà nell’organizzarsi da parte degli sfruttati, la creazione di burocrazie facilmente acquistabili, il cinismo del padronato, ma anche la potenza della classe degli sfruttati quando si muove organizzata. Il tutto in un contesto estremo e interessante, molto curato anche visivamente, con scelte scenografiche non banali e una regia piacevolmente sopra le righe. Il culmine di questa prima parte è una scena di combattimento al buio, all’interno di un tunnel lunghissimo, illuminata da una torcia che parte dal fondo del treno e arriva fino allo scompartimento centrale, portata di corsa da un tedoforo improvvisato.

Dopo l’intervallo l’allegoria viene abbandonata in modo netto e senza ragione: comincia un altro film i cui protagonisti sono un gruppetto di eroi superfighi che scopriranno l’incredibile verità celata in testa al treno. Insomma, dalla lotta di classe si passa alla teoria del complotto, e si può immaginare quanto la cosa mi risulti meno interessante. Peccato, un’occasione persa.

Noam Murro, 300 L’alba di un impero *

L’uscita di 300 di Zack Snyder e Frank Miller, nel 2007, aveva suscitato un vespaio di discussioni e riflessioni, tra cui quella interessantissima di Wu Ming 1 su “allegoria e guerra” nel mito tecnicizzato. Tra i pochi argomenti per cui questa specie di sequel poteva mostrarmi un qualche interesse, c’era proprio la possibilità di rinverdire quella discussione: per il resto avrei davvero fatto a meno di vederlo.

E avrei fatto bene. Io non so né voglio sapere chi sia il Noam Murro che ha diretto questa porcata, non ho letto e non voglio conoscere il nome dello sceneggiatore che l’ha scritta, ma me l’immagino un tredicenne alle prese con l’inizio della pubertà. Un tredicenne scemo, soprattutto. Il film narra la storia, estremamente rivisitata, della seconda guerra persiana dal lato degli ateniesi, e dunque dovrebbe svolgersi più o meno in contemporanea al precedente 300. Ma non è l’infedeltà storica il problema. È proprio che come storia fa cagare: sono pessimi i personaggi principali e i personaggi secondari, è terribile la scelta dei temi e dei conflitti centrali, scelta dettata unicamente dall’intenzione di mettere, nel punto centrale della vicenda, le tette di Eva Green / Artemisia, assurdamente individuata come il nemico principale del protagonista Temistocle. Sono tette bellissime, ma narrativamente tutto ciò non ha alcun senso.

Oltretutto, anche visivamente il film è una riproposizione in brutta copia, meno curata (o siamo noi che nel frattempo ci siamo abituati, forse) dell’originale, comunque scontata, banale, molesta. Insomma, non guardatelo questo film, non esistono seni che valgano una simile tortura.

Spike Jonze, Lei * * *

In un futuro prossimo, viene rilasciato un sistema operativo in grado di simulare la sensibilità umana: è semplicemente Lei, e il protagonista del film di Spike Jonze, reduce da una sofferta separazione, non tarda a innamorarsene. La storia che ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura è in fondo tutta qui: una riflessione interessante sul concetto di umanità e i suoi confini.

Il grande pregio del film sta nell’essere riusciti a rendere questa riflessione attraverso un personaggio totalmente privo di corporeità: Lei è soltanto una voce e la costruzione del suo personaggio avviene esclusivamente attraverso i dialoghi. Un vero peccato dunque per noi italiani l’unico tramite con il tema centrale del film sia la voce di Micaela Ramazzotti: il peggior doppiaggio dai tempi di Ilaria D’Amico nelle vesti del drago di Eragon. Se questo “dettaglio” è già sufficiente a vanificare ogni possibilità di coinvolgimento, è quasi altrettanto stonato il trascinarsi di un lunghissimo e inutile finale: come in Snowpiercer, è come se l’autore avesse perso di vista quello che stava dicendo, per introdurre confusamente un nuovo tema meno interessante del primo.

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