Che mangino brioches!

Una bella testa: aspettiamo di raccoglierla dal cesto

Marta mi segnala un bel post di Elfo Bruno, che fatti due conti “rivela” che i mille euro netti all’anno promessi da Matteo Renzi ai titolari di reddito inferiore a 1.500 Euro al mese corrispondono a una colazione al bar. Strano che non l’abbia scritto nessun giornalista del Corriere o di Repubblica: devono essere tutti molto scarsi in matematica.

Meglio di niente, si potrebbe comunque commentare, se non fosse che i primi provvedimenti sul lavoro annunciati nel comunicato stampa del governo sono destinati a farci andare di traverso brioche e cappuccino. Nessuna sorpresa, intendiamoci: era tutto previsto fin dall’inizio e se n’era parlato pure qui. Vediamo però nel dettaglio la proposta di Renzi, che si articola in un pacchetto di provvedimenti urgenti, e un altro da realizzare nei prossimi mesi.

Il contratto di lavoro a termine e il contratto di apprendistato

I provvedimenti urgenti riguardano la riforma immediata di contratto a termine e apprendistato: è così urgente liberalizzarli che le modifiche saranno contenute in un decreto legge, dunque senza neppure passaggi parlamentari che consentano al povero Pippo Civati di fare la sua solita scenetta.

Per i contratti a tempo determinato è prevista la sospirata (dalle aziende) liberazione dal fastidioso obbligo di indicare la motivazione del ricorso all’assunzione precaria, per tutti i contratti fino a 36 mesi di durata, con la possibilità di fare quante proroghe si voglia nell’arco del triennio. Considerato che la legge stabilisce in 36 mesi il limite massimo (sia pure ampiamente derogabile) di impiego di un medesimo lavoratore con contratti a tempo determinato, il provvedimento significa sostanzialmente l’abolizione completa dell’obbligo della causale: quello che Elsa Fornero aveva solo cominciato (il contratto “acausale” era consentito per il primo anno di lavoro), Renzi ha intenzione di finire. In pratica, un’azienda potrà assumere chiunque, con il solo limite del 20% rispetto alla forza lavoro complessiva (compresi altri assunti a termine con causale, pare di capire), prorogandogli per tre anni il contratto di mese in mese, senza mai dover scrivere il perché, senza mai garantire la prosecuzione del rapporto, e quindi ad esempio vincolandola a ogni tipo di ricatto.

Ancora più radicale, se possibile, è la trasformazione per quanto riguarda l’apprendistato, che anche in questo caso approfondisce enormemente la controriforma Fornero: da un lato, Renzi intende eliminare ogni controllo sull’effettivo scopo formativo del contratto, abolendo sia l’obbligo di indicare per iscritto il piano formativo che l’obbligo di integrare la formazione interna (di fatto impossibile da verificare in mancanza di un piano predeterminato) con quella pubblica. Dall’altro, viene eliminato ogni vincolo all’assunzione di nuovi apprendisti legato alla stabilizzazione di quelli precedentemente assunti. Infine, la retribuzione degli apprendisti viene fissata per legge, per le ore di formazione (sempre quelle che sono impossibili da verificare) al 35% di quella contrattuale ordinaria. Lo scenario dunque è questo: un imprenditore potrà assumere sempre apprendisti limitandosi a dichiarare (senza provarlo per iscritto) che verrà effettuata un’attività formativa; potrà gonfiare il numero di ore di formazione senza che nessuno possa verificare che effettivamente in quelle ore venga svolta una qualsiasi attività formativa in modo da ridurre ulteriormente il costo aziendale, già sgravato dagli oneri contributivi; e infine, alla scadenza dell'(inesistente) “progetto formativo”, potrà serenamente mandar via l’apprendista vecchio e rimpiazzarlo con uno nuovo senza dover rendere conto a nessuno.

Non è esagerato prevedere che le conseguenze per i lavoratori siano destinate a essere drammatiche: di fatto, viene meno qualsiasi certezza di poter pianificare la propria vita per più di tre anni, dal momento che per le aziende sarà sempre più conveniente un turn over costante della forza lavoro, sia in regime di apprendistato che in regime di contratto a termine. La concorrenza dei finti apprendisti è destinata ad abbassare ulteriormente il livello generale dei salari, già infimo. Il tutto, senza che venga creato un solo posto di lavoro in più, beninteso.

Colpisce che il segretario della CGIL Susanna Camusso, di fronte a questo disastro, dichiari che “oggi si può cominciare a festeggiare“. A meno che non si riferisca agli imprenditori grandi e piccini, che possono davvero tirar fuori lo champagne.

Le deleghe al Governo

Per tutti gli altri provvedimenti che entreranno a far parte del Jobs Act, è stato annunciato lo strumento della legge delega al Governo – che è poi lo strumento con cui a suo tempo venne forgiata la cosiddetta “legge Biagi”. Anche in questo caso, dunque, l’intervento parlamentare sarà ridotto a una serie di indirizzi, mentre la disciplina vera e propria sarà stabilita direttamente dall’esecutivo: il povero Pippo Civati ha davvero di che lamentarsi.

Qui c’è un po’ di tutto, ma dal fumoso marasma spiccano alcuni “principi” particolarmente inquietanti, specialmente per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali: materia delicata, in un futuro assetto in cui la platea di chi ne avrà bisogno è destinata ad aumentare di pari passo con l’aumento della precarietà. La primissima idea della lista, infatti, è quella di “rivedere i criteri di concessione ed utilizzo delle integrazioni salariali escludendo i casi di cessazione aziendale“. In un periodo di crisi tutt’altro che prossimo a conclusione, con cessazioni aziendali all’ordine del giorno e scarse possibilità di reimpiego, escludere la cassa integrazione straordinaria significa gettare sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie.

Conviene fermarsi qui, per il momento, specie in mancanza di elementi più precisi: non vorrei rovinarvi troppo la colazione. Ma non voglio neppure essere troppo negativo: ricordate che fine ha fatto l’ultima che ai cittadini senza pane suggerì di mangiare brioches?

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3 comments

  1. Errore di stOmpa nell’ultima frase: “che fine *ha* fatto”, non “che fine *a* fatto”.

    (Complimenti per le doti divulgative.)

  2. Venerdì il Ministero del Lavoro ha diffuso una sua nota di chiarimento (http://www.lavoro.gov.it/Notizie/Pages/20140314_chiarimenti-su-contratto-a-tempo-determinato.aspx) in cui precisa che:
    – “Con l’entrata in vigore del decreto legge il datore di lavoro può sempre instaurare rapporti di lavoro a tempo determinato senza causale, nel limite di durata di trentasei mesi. Viene così superata la precedente disciplina che limitava tale possibilità solo al primo rapporto di lavoro a tempo determinato. Inoltre, la possibilità di prorogare un contratto di lavoro a termine in corso di svolgimento è sempre ammessa, fino ad un massimo di 8 volte nei trentasei mesi.”
    Questo significa che i contratti potranno non solo essere prorogati, ma anche rinnovati (dunque con un nuovo contratto, magari anche a distanza di qualche settimana o mese), sempre senza causale, per tutti i tre anni. Il limite delle 8 proroghe equivale a una ipotetica durata media di 4 mesi per il contratto originario e per ciascuna proroga.
    – “Nell’introdurre il limite del 20% di contratti a termine che ciascun datore di lavoro può stipulare rispetto al proprio organico complessivo, il decreto fa comunque salvo quanto disposto dall’art. 10, comma 7, del D.lgs. 368/2001, che da un lato lascia alla contrattazione collettiva la possibilità di modificare tale limite quantitativo e, dall’altro, tiene conto delle esigenze connesse alle sostituzioni e alla stagionalità.”
    Cioè l’ipotetico (e già altissimo) limite del 20% di assunti a termine rispetto all’intero organico è amplissimamente derogabile.
    – “Infine, per tenere conto delle realtà imprenditoriali più piccole, è previsto che le imprese che occupano fino a 5 dipendenti possono comunque stipulare un contratto a termine.”
    Dunque il limite del 20% non vale per le aziende piccole. In ipotesi (non tanto peregrina), un imprenditore con un solo dipendente potrà sempre assumere a tempo determinato senza causale.
    Insomma, di bene in meglio.

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