Amen

Buddy Christ

Anche quest’anno i Testimoni di Geova mi hanno lasciato nella cassetta un biglietto di auguri, invitandomi ad approfondire con loro il significato e il valore della Bibbia. Ci penserò. Qualche parola interessante l’ho intanto ascoltata alla messa di Natale, fondamentale e irrinunciabile rito familiare: era da un po’ che volevo scriverne. Quest’anno la celebrava un giovane sacerdote nuovo (almeno per me): il precedente, don Manuel, pare fosse stato “allontanato” dalla parrocchia di Santa Lucia, frequentata da fedeli mediamente benestanti e tendenzialmente conservatori, a causa delle sue idee poco ortodosse.

Confesso che l’entusiasmo e lo stile dell’officiante nell’omelia mi hanno conquistato, contro ogni previsione (e ogni precedente). Il discorso, in sintesi, era questo: in ciascuno di noi si consuma la guerra universale tra luce e tenebra; ognuno ha in sé una pulsione verso la felicità e l’armonia, ma le circostanze lo ricacciano costantemente verso la meschinità e la bassezza. Mandandoci il Figlio in forma tangibile, Dio ci ha inviato un aiuto concreto nel combattere questa guerra interiore e collettiva, una guerra che non è comunque mai vinta, fino alla fine dei tempi. OK, riassunta così non è molto diversa da Guerre Stellari o Harry Potter, ma dal vivo il sacerdote ha tenuto un’orazione eccellente, partendo dall’analisi dei testi sacri e procedendo in un percorso coerente che da Cristo arrivava fino alla platea. Con mia sorella ci siamo scambiati, alla fine dell’omelia, uno sguardo carico di ammirazione – almeno, da parte mia.

Poi è arrivata la preghiera dei fedeli, ossia quella parte del rito in cui chi vuole si alza, si avvicina al microfono, dichiara quale sia l’oggetto della sua preghiera, e il coro dei fedeli risponde “Ascoltaci o Signore“. Io penso che dovrebbero abolirla, o perlomeno esercitare una forte censura sulle “intenzioni” dei fedeli, ad esempio per evitare preghiere come questa: “Perché il Signore guidi le intenzioni di quanti predicano e mettono in atto la rivolta, turbando la pace sociale“. Ora, erano proprio i giorni dei “forconi” (su cui vale la pena leggere quest’ottima analisi) e probabilmente il pensiero era lì; ma le stesse parole sarebbero tranquillamente potute uscire dalle labbra di Sergio Marchionne all’epoca dei referendum di Pomigliano e Mirafiori! Va detto che anche in questo caso con mia sorella ci siamo scambiati uno sguardo, carico questa volta di sconcerto.

Eppure, a pensarci bene, tutto si tiene. Luce contro Tenebra, Bene contro Male, Felicità contro Meschinità: OK, ma qual è la Luce e quale la Tenebra? Se non specifichiamo queste categorie stiamo davvero solo parlando di Guerre Stellari o di Harry Potter. Al suo meglio – l’omelia del giovane sacerdote, e magari ancora di più, entro certi limiti, le posizioni del precedente sacerdote “ribelle” e cacciato – la religione si tiene sul vago: non può che far così, se vuole essere universale. Al suo peggio – la preghiera del fedele moderato e benpensante, ma in generale l’intera struttura ecclesiastica in quanto tale – difende esplicitamente il caposaldo della società borghese, la proprietà, fino a identificarla con la Luce, da mantenere accesa a dispetto delle Tenebre di chi metta in discussione il principio.

Alla fine, questa seconda impostazione è più credibile e molto più sostenibile: non siamo davvero tutti uguali, ma ciò che per pochi privilegiati è Luce per tutti gli altri è Tenebra, e viceversa. Predicare una dottrina morale che possa applicarsi indistintamente agli uni e agli altri è un inganno, più o meno consapevole; auspicare l’armonia tra le classi è disarmarne una nella guerra che l’altra continua a combattere: l’agnello che non si ribella al lupo finisce mangiato. Insomma, bisogna scegliere per quale Luce combattere, e contro quale Tenebra; ma questo nessuna religione lo può fare, se religione vuole essere: il Dio del padrone del call centre deve per forza essere lo stesso del centralinista.

Sono banalità quelle che vado scrivendo, me ne rendo conto. È solo per spiegare, a quei pochi che se lo chiedessero, per quale motivo non sono una persona religiosa.

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5 comments

  1. Bellissimo pezzo. Grazie. Anzi: per ringraziarti ti troverai un commento lungo come 40 anni nel deserto. Sorry. 😉

    Intanto: l’idea del Buddy Christ di “Dogma” è una delle satire migliori che abbia mai visto di un alcune tentazioni 😉 delle chiese… e tutte le volte che lo vedo sogghigno.

    E ora, uno dei centri della questione: “non è molto diversa da Guerre Stellari e Harry Potter”.

    Su Potter noto al volo che la Rowling è una cristiana (imho molto intelligente, laica, scettica nella giusta misura) e in Harry Potter c’è almeno una citazione *letterale* dalla Bibbia (l’epitaffio di James e Lily).

    Comunque, hai in mente quando si dice che “i credenti non hanno il monopolio dell’etica e della morale”? Più che di monopolio credo si dovrebbe parlare di copyright: le idee etiche e morali non sono *di* un gruppo di pensiero.

    Come sai, io sono cristiana. Ma ci sono passi della Bibbia che credo “funzionino” anche “laicamente”.

    Ci sono dei passi “etici/morali” che si possono interpretare (ma quasi tutti i testi si possono interpretare…) a prescindere dalla fede: uno dei miei preferiti è ” Che giova infatti all’uomo, se guadagna tutto il mondo e poi perde la propria anima?” (Mt 16:26). Se intendi “anima” come “l’identità profonda di se stesso / la propria moralità” credo sarebbe valido anche senza un Dio…

    Per non parlare delle lezioni di “tattica di lotta non violenta”, che (sorpresa! non te lo dicono quasi mai a catechismo…) sono tattiche di *lotta*, non di “essere zerbino”: la faccenda del “porgere l’altra guancia” è spiegata abbastanza bene qui: en.wikipedia.org/wiki/Turning_the_other_cheek#Nonviolent_resistance_interpretation (dall’autore di “liberi come colombe e astuti come serpenti”…)

    Sul valore poetico di alcuni passi non sto a discutere – lì entrano spesso in gioco gusti personali.

    Quanto alle storie: secondo me alcune sono splendidi racconti (che non prendo alla lettera) di archetipi umani: prendi Giacobbe ed Esaù, “c’era una volta un capotribù che aveva due figli; il maggiore era il preferito di papà e il minore era il preferito di mamma…”

    Un altro centro del tuo discorso era la religione come strumento di potere, e in particolare di forza stabilizzante per lo status quo. E’ ovviamente spesso così, nel caso della “religione di maggioranza” in un contesto. Ma già se sei una minoranza sai sulla tua pelle che lo status quo è qualcosa che ti si può rivoltare contro…

    (Incidentalmente: uno dei motivi per cui penso che l’Italia sia culturalmente, anche se non legalmente, meno laica dell’Inghilterra: in Inghilterra l’idea che ci siano molte forme di religione è ovvia da tempo: magari con le altre religioni ti batti, ma non puoi ignorarle.)

    Inoltre, ci sono i casi in cui il senso di “solidità” che ti viene dall’avere una fede ti dà la carica per rompere uno status quo che disprezzi. L’esempio facile è Martin Luther King, Jr – ma ce ne sono altri…

    Insomma: non direi che la religione è un fattore diverso dalla classe sociale (o dal gruppo etnico, o del gender – e guarda, queste cose spesso si intrecciano): se sei in una posizione di privilegio (per qualcuno dei fattori di cui sopra) e sei una persona decente puoi provare a usare il tuo privilegio per aiutare la lotta di chi non ha un privilegio (quello o un altro); se non hai privilegio, puoi sapere sulla tua pelle perché è importante lottare.

    Infine, la parte “Buddy Christ”. Io sono della corrente “spero che l’Inferno ci sia e sia vuoto” (ho recentemente scoperto che uno dei primi teorici della corrente era una mistica – donna – Giuliana di Norwich). Insomma: spero che Dio non punisca nessuno per l’eternità; ma questo non vuol dire “anything goes”. Credo che tutti possano portare un contributo alla comprensione del Divino (che è comunque inconoscibile: un Dio che controllo, logicamente o altrimenti, mi pare un Dio da poco); ma non vuol dire che io trovi giuste le posizioni di chiunque si dichiari cristiano (o in generale credente), e che non mi batta di conseguenza (dall’interno e dall’esterno, a seconda delle circostanze).

    Per usare il tuo esempio: Dio è lo stesso per il padrone e per il centralinista, ma il padrone e il centralinista vedono due aspetti di Dio diversi (e anche due centralinisti non lo vedranno identico), e “il padrone vede un aspetto di Dio” vuol dire che il padrone dia un’interpretazione di Dio valida. Se poi il padrone sbaglia nell’interpretazione, il Signore deciderà se prenderlo da parte e spiegargli con calma i suoi errori o lo spedirà a calci via: ma questo è nelle mani del Signore.

    E intanto, noi siamo qui, e sprecare la vita a non provare a lottare è sbagliato. Se non c’è Dio, ovviamente, è l’unica vita che abbiamo. Se Dio c’è… beh, non è che possiamo sapere esattamente, no? Quindi tanto vale buttarci e fare quel che ci sembra giusto. Un’interpretazione che mi aveva molto convinta della parabola dei Talenti mi faceva notare come tutti i servi che investivano i soldi avevano un guadagno (e, almeno in una versione, avevano *la stessa ricompensa finale* a prescindere dalla somma investita e guadagnata): l’unica perdita si ha a non giocare (“Wargames” alla rovescia, sì).

    Per chiudere, una nota teologica: se con “non sono una persona religiosa” intendi parlare di fede, non credo (nota bene: credo – è un campo in cui penso che entri la fede ma non il pensiero logico) che tu non creda per le ragioni di cui sopra, per quanto siano buone. Credo tu non abbia fede così come hai gli occhi di un certo colore. Così come credo di credere perché il Signore vuole così, ma non è che io abbia voce in capitolo. Se invece per “religione” pensi alla religione organizzata, lì si va di nuovo sul problema “sociale” delle diverse correnti di fede che si pongono in maniera diversa davanti alla pratica…

    [La storia dei “40 anni nel deserto” mi fa sempre venire in mente la battuta di Golda Meir: “il nostro Dio ci ha fatto girare quarant’anni nel deserto per condurci nell’unico posto senza petrolio della regione”.]

  2. Vorrei dire tanta roba, ultimamente mi sto ponendo molte domande – non su Dio, ma sulla religione. E toglierei pure la distinzione speciosa che si fa spesso tra fede individuale e religione organizzata: la religione che ha un effetto sul mondo è quella organizzata, sono le comunità di fedeli (magari anche piccole), ed è proprio quella che mi suscita più interrogativi.

    Quest’anno c’è stata la stranezza dei due papi e alcuni eventi personali: mi è capitato di avere a che fare con molti cristiani nell’impegno contro il gioco d’azzardo e sono andato all’eclettico funerale di Don Gallo. Il rapporto tra religione e impegno sociale che emergeva da quelle situazioni era davvero un rompicapo. Ho notato però che questo rapporto era tanto più forte quanto meno, a dispetto del nome, i cattolici coinvolti si rifiutavano di essere “universali”, quanto più “dividevano il fratello dalla sorella” (altro che scambi di sguardi complici come Ale ed Eleonora).

    C’è a questo proposito una cosa che mi colpisce con particolare forza nel bel commento di Marta, ed è questo pezzo qua:

    E intanto, noi siamo qui, e sprecare la vita a non provare a lottare è sbagliato. Se non c’è Dio, ovviamente, è l’unica vita che abbiamo. Se Dio c’è… beh, non è che possiamo sapere esattamente, no? Quindi tanto vale buttarci e fare quel che ci sembra giusto.

    Ma detto così non è un po’ come dire che se anche i credenti lottano per l’aldiquà è solo perché sotto sotto non sono così convinti dell’aldilà?

  3. Voglio solo integrare, per completezza di informazione: il parroco era stato allontanato per motivi “politici” (complice -leggenda narra- un parrocchiano e giornalista di Libero), in seguito a critiche su certi gesti controcorrente, tra cui ricordo il presepe senza bambinello perchè se non siamo pronti ad accogliere gli immigrati non possiamo farlo con Cristo. Mentre il prete che si ricorda Ale a quanto ne so si è innamorato e conseguentemente spretato. Diciamo che è una parrocchia che quantomeno contiene quelle contraddizioni che la religione si porta dietro fisiologicamente. Io durante il Credo sto zitta per tutta la parte della chiesa santa, cattolica e apostolica, ma questo non basta certo a quietarmi dubbio e coscienza.

  4. Mauro: approfondisco il “non sappiamo” del mio commento, che ha molti aspetti.

    L’inizio del tutto è il riconoscere l’assurdità di quello in cui si crede. Il che non vuol dire non crederci, vuol dire riconoscere che non è una questione nel campo della logica. Non è una cosa estremamente originale, ne parla anche Paolo nella prima lettera ai Corinzi (cap. 1 – ho controllato). Come Paolo, si può anche dare un valore positivo alla cosa (ne parlo in fondo).

    Da questo discendono due strade. Sono contraddittorie, ma abbiamo stabilito che siamo in un campo non-logico e quindi non è impossibile che la stessa persona si ponga in un punto (o un intervallo) su uno spettro tra l’una e l’altra.

    La prima strada è quella dell’appoggiarsi alla parte “è illogico”, e porta al “meglio considerare l’ipotesi atea, almeno come possibilità”. Da cui la scommessa di Pascal, “io faccio bene che poi magari mi vien bene”, che a me sta terribilmente sulle scatole perché mi sembra un “do ut des”, ma ehi, sono per la tolleranza religiosa. 😉

    L’altra strada è invece quella della fede: Dio c’è, mi fido. Ma questo non implica che si controlli o anche solo si conosca Dio, soprattutto data l’illogicità della fede che si è riconosciuta in precedenza. Ovviamente ci sono vari gradi della filosofia, lo spettro “salvezza per fede / salvezza per opere” è ampio (e ricordiamo: “due protestanti fanno tre opinioni”, figuriamoci se aggiungi anche cattolici e ortodossi…)

    In questo senso intendevo il “non sappiamo esattamente”, che è la mia posizione sullo spettro: non sappiamo se stiamo facendo quello che Dio vuole, ma possiamo sforzarci di capire se lo è e di agire di conseguenza (qui credo che le discussioni di comunità siano uno strumento potente – ma, di nuovo: inclinazione personale); non sappiamo se Dio abbia deciso della nostra sorte ultraterrena (la mia fede tende al sì; di nuovo: fede personale) e se sì in che senso (la mia fede tende alla speranza in una salvezza universale). Il comportamento che mi sembra migliore, da un punto di vista sia morale che logico, è quindi di cercare di fare del proprio meglio (nella società; ma anche nella pratica religiosa, se è qualcosa che si crede sia buono) e sperare che Dio sia dalla nostra.

    Insomma, un’estensione della sigla di Stephen Jay Gould contro il creazionismo: NOMA, Non Overlapping MAgisteria.

    (Non farmi entrare in quel che penso del creazionismo. Dico solo che l’espressione “Dio tappabuchi” – di Dietrich Bonhoeffer, mi pare; la traduzione italiana pare del Vernacoliere ma passiamo oltre – mi sembra una sintesi splendida, che in più mi fa ridere e quindi mi impedisce di incavolarmi troppo…)

    Un’ultima nota sulla mia fede personale: credo che buona parte del valore della fede sia proprio nella sua non-logicità. L’imprevedibilità della vita è qualcosa di (potenzialmente) divino. Dio è per me Grazia, pensa ai regali da chi ami: non sono fatti per avere in cambio qualcosa, e i migliori sono anche sorprese.

  5. Mille grazie, Marta, per i tuoi commenti, e anche a Mauro ed Eleonora.
    Premesso che la mia preparazione teologica è decisamente scarsa, io ovviamente non discuto il modo in cui individualmente si riesce a conciliare idee progressiste o perfino rivoluzionarie con la fede, così come del resto, simmetricamente, comprendo che si possa avere una sincera fede ed essere allo stesso tempo di idee fasciste.
    La fede, che è fede nell’esistenza di Dio, è qualcosa che hai o non hai, individualmente: un dono che ti è stato fatto da un certo punto di vista, una sfiga che ti è capitata da un altro.
    Non ha molto senso perciò discuterne (anche se trovo interessante cercare di capire il punto di vista del credente) perché non può esserci alcuna sintesi tra chi crede e chi non crede.
    Diverso è il discorso sulla religione, che è fondamentalmente una struttura organizzata con la finalità di individuare (nelle strutture più democratiche, come alcune comunità protestanti – come quella a cui Marta appartiene, mi pare di capire) o imporre (nella Chiesa cattolica ad esempio) un’interpretazione corretta del divino, e di conseguenza guidare il comportamento dei fedeli.

    Marta scrive:
    “Dio è lo stesso per il padrone e per il centralinista, ma il padrone e il centralinista vedono due aspetti di Dio diversi (e anche due centralinisti non lo vedranno identico), e “il padrone vede un aspetto di Dio” vuol dire che il padrone dia un’interpretazione di Dio valida. Se poi il padrone sbaglia nell’interpretazione, il Signore deciderà se prenderlo da parte e spiegargli con calma i suoi errori o lo spedirà a calci via: ma questo è nelle mani del Signore.”

    Ma il punto è proprio chi decide quale sia l’interpretazione corretta, quale tipo di interpretazione viene data, e quale portata ha la dottrina morale che ne consegue. Rimanendo nella galassia cristiana protestante (buffo che la stessa battuta sui due protestanti con tre opinioni sia riportata più o meno tale e quale per i trotskisti…), una comunità molto progressista di Londra darà necessariamente una risposta differente da quella di una comunità conservatrice del Texas, senza che in linea di principio nessuna possa proclamarsi “più giusta” dell’altra. Ma allora, se si finisce con lo scegliere la propria comunità di appartenenza in base alle proprie idee (più o meno preesisteni, o formate altrove) sulla società, in che senso parliamo ancora di religione?
    E ugualmente, se come mia sorella (che credo dovrebbe confessarsi per questo) ci si ritaglia la propria “religione personale”, prendendo soltanto alcuni pezzi da quella canonica e universale in base alle nostre opinioni personali, in che senso ci si può definire “religiosi”?

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