Hunger Games (altro che Ciwati)

Hunger Ciwati

Che diamine c’entra La ragazza di fuoco con le primarie del PD? Assolutamente niente. È che ieri uscendo dal cinema ho pensato a quanto sia positivo il modello che questa storia per ragazzi propone ai suoi lettori e spettatori (almeno per il momento, dato che sul grande schermo siamo ancora a due terzi della vicenda) e, per contrasto… Ma andiamo con ordine.

Siamo in un futuro post-apocalittico in cui al posto degli Stati Uniti è sorta la nazione di Panem, divisa in 12 distretti e governata da un regime dispotico, che colpisce particolarmente i distretti periferici, terre di povertà e sfruttamento totale. Ogni anno, per ricordare la sconfitta dell’ultima grande ribellione dei distretti contro la capitale, si celebrano in pompa magna e in diretta televisiva gli Hunger Games, una sfida all’ultimo sangue tra 24 ragazzi e ragazze estratti a sorte, due da ciascun distretto, deportati in una grande “arena” e lasciati a combattere tutti contro tutti, finché non ne sopravvive uno solo.

Katniss Everdeen è il “tributo” femminile del dodicesimo distretto, il più povero di tutti, dopo essersi offerta volontaria per salvare la sorellina che era stata estratta a sorte. Ovviamente vince (prima ragazza di sempre del “dodici”) ma, sfidando ogni regola e la stessa autorità, si rifiuta di uccidere l’altro partecipante del suo distretto, e così facendo diventa suo malgrado un simbolo di libertà e speranza. Fin qui il primo film: adesso attenti agli

SPOILER (non molti, comunque).

I giochi sono appena terminati, Katniss è una celebrità di enorme carisma: la sua ribellione individuale ha liberato, senza che lei ne fosse consapevole, la ribellione che da tempo covava sotto la cenere nei distretti poveri. Per questo il presidente Snow, per scongiurare una rivoluzione, va a trovarla a casa (per la serie, “so dove abiti e chi sono i tuoi parenti“) e le ordina di usare il suo ascendente sulle masse per distrarle e placarle, e rinsaldare così il sistema. Ma il Giro della Vittoria attraverso i dodici distretti e fino alla capitale sortisce effetti opposti: la sola vista della ragazza è l’innesco per nuove manifestazioni, represse con violenza sempre maggiore: il disegno della ghiandaia imitatrice, portafortuna di Katniss, compare un po’ ovunque come simbolo di libertà e speranza.

Katniss deve essere eliminata ma senza trasformarla in una martire: per questo viene organizzata un’edizione speciale dei Giochi, i cui partecipanti, sempre due per distretto, verranno estratti soltanto fra i precedenti vincitori. Ancora una volta però la ragazza, con la complicità dello stilista Cinna, sfida il potere costituito indossando la sera della presentazione televisiva, davanti a milioni di spettatori, un abito che si trasforma in foggia di ghiandaia imitatrice: mentre Katniss combatte ancora una volta nell’arena, là fuori la rivoluzione incombe.

A colpire, in questo secondo capitolo di Hunger Games, è soprattutto la rappresentazione del potere e dei suoi strumenti per perpetuarsi, una rappresentazione, se vogliamo, elementare ma straordinariamente efficace. Di fronte alla prolungata apatia degli oppressi, il tiranno non ha neppure bisogno di nascondere i suoi intenti: i Giochi sono apertamente un sacrificio umano imposto ai sudditi come monito contro future ribellioni. Eppure, allo stesso tempo, i “tributi” sono quei circenses di cui il governo (della nazione che forse non per caso si chiama Panem) si serve, altrettanto esplicitamente, per distrarre e controllare le menti degli sfruttati. Nonostante abbia un Presidente – e dunque almeno formalmente sia una democrazia – lo stato non rappresenta affatto i suoi cittadini, e non esita a reprimere con la violenza qualsiasi dissenso, platealmente, fino addirittura a radere al suolo interi distretti.

La metafora è trasparente e parla dei governi occidentali, e di noi, e delle scelte che abbiamo sempre a disposizione, delle responsabilità a cui non possiamo sottrarci. Non solo Katniss Everdeen e i suoi compagni, ma soprattutto gli oppressi dei distretti periferici che decidono di ribellarsi agli oppressori, nonostante l’esercito e la corte marziale, mostrano un esempio e una strada, non diversi da quelli della Val Susa. Che milioni di ragazzi crescano con questo immaginario, è soltanto una buona notizia.

E Civati? – si chiederà qualcuno. Civati proclamerebbe in televisione che non bisognerebbe più farli questi Hunger Games, e poi in parlamento voterebbe per mantenerli “mantenendo il proprio disagio”. Ecco un modello che non è il caso di seguire.

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2 comments

  1. Hai letto i libri, per inciso? Io li ho trovati molto belli, per la scrittura, la storia e per una certa componente di gender-bending nei “tipi” dei personaggi; ma anche molto interessanti per la descrizione (presente ma non pesantemente allegorica) del rapporto tra spinta politica e sentimento privato (dove “sentimento” è molto più della “storia d’amore”).

    [PESANTI SPOILER, sentiti libero di cancellare questa parte!]

    Ecco, cancellati gli spoiler, spero di dimenticarmeli prima del terzo film, o di leggere i libri…

  2. Non ho letto i libri ma sono tentato di farlo. Il secondo film l’ho trovato nettamente migliore del primo proprio per questa maggiore complessità e “credibilità” dei personaggi.
    Davvero uno dei migliori film del genere che siano usciti negli ultimi tempi.
    Ciao!

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