Grazie signora Elsa

Grazie signora Thatcher

Tra le cose interessanti dell’essere un avvocato del lavoro, c’è la possibilità di sperimentare molto concretamente gli effetti della crisi e delle riforme. Anche per questo motivo ho deciso all’inizio di quest’anno di tenere una statistica del tipo di controversie che avrei affrontato, in modo da poter periodicamente verificare le tendenze in atto: è una sorta di bollettino di guerra della lotta di classe. Naturalmente il mio piccolo osservatorio non ha vere pretese statistiche, ma le circa 35 nuove pratiche aperte in prima persona da gennaio a luglio credo siano comunque un campione relativamente significativo. Beninteso, sono tutte vicende che dal punto di vista giuridico sono fondate, nel senso che offrono ragionevoli possibilità (certezze, mai) di successo: ho escluso dalla statistica tutte le “cause perse” in partenza, vuoi perché non c’erano comportamenti sanzionabili da parte del datore di lavoro (raro), vuoi perché era troppo tardi per procedere, per intervenute decadenze.

Ecco i numeri: una dozzina, ossia circa un terzo, sono i licenziamenti, la maggior parte in aziende sotto i 16 dipendenti: dunque senza art. 18. Rispetto a un anno fa, sono più che triplicati, e in proporzione maggiore sono aumentati i licenziamenti in aziende medio-piccole.

Sono invece leggermente diminuite, nel complesso, le controversie che riguardano precari: sono circa un quinto del totale, rispetto a un terzo che avevo stimato l’anno scorso. Ma osservo che, mentre non ho quasi più visto contratti a progetto (uno solo in sette mesi), sono aumentati sia pure di poco i contratti a termine.

Sono rimasti più o meno lo stesso numero i casi di mancato pagamento di stipendi o compensi, più o meno tanti quanti i licenziamenti: le cattive abitudini non muoiono mai.

Qual è il senso di tutto ciò? Con il conforto dei dati ISTAT, una fonte ben più affidabile di me, credo che in generale siano leggermente diminuiti i precari: ma la differenza la fanno quelli che sono diventati disoccupati, non certo gli assunti a tempo indeterminato. Gli assunti a termine o in somministrazione, o chi lavorava a progetto, erano la prima linea nella guerra rappresentata dalla crisi economica, quella che viene falciata dalla prima raffica di mitraglia. La diminuzione dei contratti a progetto si spiega anche con la stretta  contenuta nella riforma Fornero: benché non rappresentasse davvero una novità (e infatti non ho mai visto perdere una causa su contratti a progetto in sette anni), ha probabilmente spaventato le aziende e i consulenti del lavoro. In molti casi, ad esempio nell’editoria dove era la forma di lavoro di fatto prevalente, i contratti a progetto sono stati sostituiti in blocco da collaborazioni a partita IVA non meno fasulle, ma più complesse da smascherare. Solo in parte minore i contratti a progetto sono stati sostituiti da contratti a termine, resi più appetibili e “sicuri” dall’abolizione dell’obbligo di causale per il primo anno. Ecco anche un’altra delle ragioni per cui le controversie legate  a contratti a tempo determinato sono aumentate solo leggermente: a più di un lavoratore ho dovuto spiegare che il contratto semplicemente non era impugnabile, anche se non c’era ragione apparente per un’assunzione a termine. E l’andazzo è destinato a peggiorare.

Ma il dato significativo mi pare l’aumento notevole dei licenziamenti: dopo aver colpito in prima battuta soprattutto i precari, adesso la crisi tocca chi era assunto: in prima fila i lavoratori senza grandi tutele in caso di licenziamento illegittimo, quelli che si possono mandar via senza rischiare troppo; ma anche gli altri non sono al sicuro, tanto più che le sanzioni sono diminuite anche per chi ha ancora l’ombrello dell’art. 18 dello Statuto. Gli Ichini che si lamentano che il mercato del lavoro sia troppo rigido, vorrei che provassero che cosa significa perdere il lavoro ingiustamente e ottenere quando va bene appena 3-4.000 Euro di risarcimento: non è un calcio nel sedere ma poco ci manca. E naturalmente rimangono fuori dalle mie statistiche i licenziamenti legittimi, quelli che non si impugnano proprio, e che sono la stragrande maggioranza: basta leggere i numeri delle “ristrutturazioni” aziendali di questi mesi per rimanere sgomenti.

Buone notizie? Rimangono i casi in cui si ottiene giustizia sostanziale: si salva un posto di lavoro, si vince un risarcimento sostanzioso. Sono quei casi che il governo di larghe intese vuole rendere sempre più rari: #tifiamoasteroide, per davvero.

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