Loro ci odiano, dobbiamo ricambiare

“Bisogna restaurare l’odio di classe. Perché loro ci odiano, bisogna ricambiare”, disse il grande Edoardo Sanguineti quando era candidato alle primarie del centrosinistra alle comunali di Genova, nel 2007: all’epoca la dichiarazione fece scalpore, oggi probabilmente in molti capirebbero esattamente che cosa intendeva. Sergio Marchionne (tanto per dare un nome e cognome, ma è la proprietà della FIAT a essere per intero responsabile) è probabilmente la persona che più di ogni altra ha contribuito a illustrare agli italiani il senso di quella frase.

È di ieri l’ennesimo esempio: la FIAT ha annunciato che metterà in mobilità 19 lavoratori dello stabilimento di Pomigliano, in conseguenza della sentenza della Corte d’Appello di Roma che ha confermato che escludere dalle assunzioni i lavoratori iscritti alla FIOM è in tutto e per tutto una discriminazione. Rispetto alla sentenza di primo grado, la Corte ha aggiunto che Fabbrica Italia Pomigliano (FIP) deve assumere immediatamente i 19 che avevano proposto il ricorso con la FIOM; complessivamente gli iscritti alla FIOM che dovranno essere assunti sono 145, nel rispetto della proporzione fra iscritti FIOM e totale dei lavoratori riassunti in fabbrica.

Fin dalla sentenza di primo grado, nel giugno scorso, la reazione della FIAT è stata la più antica del mondo, databile più o meno con la divisione in classi della società (e quindi verosimilmente ancora più antica del mestiere più antico del mondo!): cercare di dividere i lavoratori contrapponendo gli iscritti FIOM con tutti gli altri.

Addirittura un terzetto di lavoratori era stato indotto a intervenire nel giudizio di appello in adesione al ricorso dell’azienda: a quanto si legge nella sentenza, le censure mosse dagli intervenuti sono analoghe a quelle contenute nell’appello principale; considerato anche il costo di una causa del genere, tutto lascia pensare che l’intervento sia stato indirettamente (o, perché no, anche direttamente) finanziato dalla FIAT. Negli ultimi giorni l’attacco ha subito un’accelerazione. CISL e UIL, sempre più spudorate nel loro ruolo di cani da guardia del padrone, hanno organizzato una petizione contro il ritorno in fabbrica degli iscritti FIOM: ogni commento sulla spregevole iniziativa è superfluo. Fino all’annuncio di ieri.

Vale la pena commentare la sentenza della Corte d’Appello, che mette in risalto gli aspetti più ripugnanti della vicenda.

Il provvedimento, in sintesi, spiega che il sindacato ha dato sufficienti indizi, anche statistici, dell’avvenuta discriminazione, e che per legge sarebbe spettato all’azienda portare dati e argomentazioni che escludessero che discriminazione vi fosse stata: in particolare avrebbe dovuto dimostrare che le assunzioni erano state svolte secondo criteri oggettivi, chiarendo quali fossero questi criteri in base ai quali, “per combinazione”, nessun iscritto FIOM fosse risultato idoneo all’assunzione.

Una prova simile la FIAT si è ben guardata dal fornirla; al contrario, pur affermando astrattamente di aver utilizzato “criteri oggettivi”, ha avuto la faccia tosta di sostenere che per il contesto in cui l’attività lavorativa viene espletata la convinzione personale attinente l’accettazione delle regole contenute nel contratto di Pomigliano e nel CCSL concordato con FIP costituisce un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa: insomma, la tesi era che in fabbrica non può lavorare chi non la pensa come il padrone, per questo gli iscritti FIOM non possono essere assunti. Non sorprende che la Corte abbia giudicato che l’appello presenti una intrinseca contraddizione nella parte in cui sostiene che le assunzioni sono state regolate da FIP sulla base di criteri oggettivi e non soggettivi, e nella parte in cui afferma che l’affiliazione a FIOM costituisce un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa e come tale può essere preso a giustificazione della mancata assunzione.

Non è l’unica contraddizione nel comportamento di Marchionne: ieri infatti ha dichiarato di dover mettere in mobilità 19 lavoratori per far posto ai 19 iscritti FIOM da assumere per ordine giudiziale, ma nelle difese FIAT si legge che il dato statistico fornito dal sindacato sarebbe incompleto perché “l’iter di assunzioni è ancora in atto e in pieno sviluppo“. Dunque, prima sostiene che non c’è discriminazione perché ancora le assunzioni non sono finite, poi spiega che deve licenziarne 19 per poterne assumere altrettanti.

Non poteva mancare, infine, l’appello alla libertà d’impresa, e la proposta di sanare la discriminazione con un risarcimento soltanto economico e non con l’obbligo di assunzione. Evidentemente per la FIAT non basta che il diritto alla reintegrazione sia stato abolito dalla riforma Fornero per i licenziamenti “normali”, vorrebbe che fosse eliminato anche per quelli discriminatori. Per il momento non è così, e la Corte d’Appello di Roma lo ha spiegato chiaramente.

Ma la difesa della FIAT mostra la strada dei prossimi attacchi ai lavoratori: loro ci odiano, è ora di ricambiare.

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