Sallusti in galera (e buttare la chiave)

E rieccoci qui a parlare di libertà di informazione, e di come può essere malintesa e strumentalizzata.

È trascorsa una settimana dalla condanna in via definitiva di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale e in precedenza di Libero, a 14 mesi di carcere senza condizionale per diffamazione a mezzo stampa. Dopo le dimissioni farlocche di qualche giorno fa, ieri, obbedendo al richiamo del suo padrone Paolo Berlusconi, Sallusti è tornato in sella alla sua testata, in attesa di decidere se fare il martire e andare davvero dietro le sbarre, o scegliere un più conveniente affidamento ai servizi sociali.

I fatti sono noti a chiunque abbia voglia di informarsene: che vi sia stata diffamazione è indiscutibile, che la sentenza sia giuridicamente ineccepibile, mi sembra, pure, a rigor di legge. E infatti, si discute oggi di cambiare la legge, escludendo il carcere dalle pene per il reato di diffamazione.

Ora, prescindendo per un attimo dal caso Sallusti, la questione è se lo Stato sia legittimato o meno a punire severamente – in un modo che sia davvero un deterrente – chi utilizza uno strumento potente come la stampa per distorcere consapevolmente l’informazione, e quale sia il limite. A ben pensarci, è esattamente la stessa questione che avevamo affrontato parlando, in due occasioni, della presunta “chiusura” di RCTV in Venezuela.

Io sono convinto che sia non soltanto “giusto”, ma assolutamente necessario, nei casi in cui la diffamazione avviene mediante la palese falsificazione di fatti. Per chiarire l’argomento, occorre subito sgombrare il campo da facili equivoci. Innanzitutto, leviamo di torno qualsiasi riferimento a diritto di critica o di cronaca: entrambi hanno necessariamente come presupposto la verità dei fatti sui quali si esprime un’opinione. Qui invece stiamo parlando di opinioni espresse su fatti non veri, falsificati appositamente per poter essere strumentalmente attaccati.

L’altra obiezione da superare è quella per cui potrebbero essere previste pene altrettanto severe che pure escludano la reclusione. Non è così, o meglio non sempre, specialmente quando a essere di mezzo è un potente o uno a libro paga dei potenti. Dovesse anche pagare 10 volte la somma per cui è stato condannato (20.000 Euro), non sarebbe difficile per Sallusti, se non proprio metterceli di tasca sua, trovare almeno degli sponsor che gli coprano le spalle: quegli stessi a cui fanno comodo le sparate di Libero e del Giornale, ad esempio. Non dimentichiamoci, del resto, che anche una porcheria indegna come Il Foglio di Giuliano Ferrara riceve dallo stato svariati milioni di Euro all’anno: che deterrente può rappresentare una sanzione economica per il direttore di quella testata?

Il carcere – un carcere sperabilmente più dignitoso di quello che abbiamo oggi in Italia, certo, ma il problema allora riguarda tutti i reati per cui è prevista la reclusione – rimane verosimilmente l’unica pena che davvero incuta timore, che “faccia passare la voglia” soprattutto a ricchi e potenti. Io sarei per introdurre fattispecie penalmente sanzionate con il carcere anche in ambiti che mi sono più vicini, come l’utilizzo abusivo di manodopera precaria. Ma questa è un’altra storia.

In generale, se un reato è grave, e scrivere pubblicamente il falso per arrecare un danno a qualcuno è indiscutibilmente grave, è indispensabile una sanzione altrettanto severa. Per tornare sul pezzo, il “Dreyfus” autore dell’articolo incriminato avrebbe potuto auspicare la pena di morte per giudice e familiari senza incorrere in alcuna pena, se avesse avuto il coraggio di rappresentare i fatti in modo almeno vicino alla realtà. Troppo facile, e troppo scorretto, raccontare altri fatti, fatti riprovevoli, ed esprimere su quelli un simile giudizio.

Si rischia, prevedendo il carcere per casi di questo tipo, di “imbavagliare la libertà di informazione”? No di certo, per il semplice fatto che i Sallusti del giornalismo italiano e mondiale non esercitano alcuna libertà di espressione o di informazione, ma si limitano a obbedire agli ordini dei padroni, i potenti di turno. Come già scrissi nel 2008 a proposito di RCTV, proprio per salvaguardare la libertà di informazione è necessario combattere con ogni mezzo la disinformazione pilotata da chi ha denaro e potere.

Alla fine, Sallusti in galera non ci finirà, se non per farci una fugace comparsata a uso e consumo di fotografi, editorialisti amici e lettori del Giornale. Sarà un vero peccato.

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5 comments

  1. Non mi risulta che in Italia si vada in carcere con una condanna di un’anno e mezzo. La solita disinformazione strumentalizzata.

  2. Ciao, evidentemente ove manchi la verità si ha diffamazione: questo è indiscutibile.
    Ma senti, che cosa pensi della nuova legge-bavaglio che si cerca di varare?
    Ecco il link (ma probabilmente non ne hai bisogno):
    http://websulblog.blogspot.it/2012/10/anche-i-blog-avranno-lobbligo-di.html

    Per paradossale che possa sembrare, se io, Tizio, Caio o Sempronio scrivessimo un post in cui esaltiamo (e vorrei vedere il contrario!) la liberazione dal nazifascismo, un neonazi potrebbe impormi la rettifica?
    Se io dico che il mio pappagallo è stato male dopo aver mangiato il mangime Wasdrtytyr, la ditta che produce quel succulento mangime potrebbe impormi il giogo della rettifica e/o della multa?
    Buon w.e!

    P.s.: scherzi a parte, fammi sapere, eh?

  3. Eh, scusa pure tu, ma ogni tanto devo anche lavorare 🙂
    Sulla nuova legge-bavaglio, che cosa vuoi che pensi? È agghiacciante (e anche direttamente preoccupante per me), la miglior dimostrazione che tutto il polverone su Sallusti non era che il pretesto per peggiorare ulteriormente le condizioni dell’informazione.
    Che si abbia diritto a una rettifica quando non c’è prova della verità di quanto si chiede di rettificare è assurdo sotto ogni punto di vista, compreso il buon senso.

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