“Una cagata pazzesca”

E adesso spiegami perché, tu che per settimane mi hai rotto le scatole insistendo che dovevo vedere The Artist, lo consideri un capolavoro (eviterò per carità di patria di riportare che l’hai definito “il più bel film che abbia mai visto”) (ops…) Volevi farmi uno scherzo? Haha, ci sono cascato. Ma fingiamo per un attimo che fossi seria, dimmi, perché?

Forse ti ha colpito il tema metacinematografico del passaggio dal muto al sonoro? L’omaggio al cinema degli Anni Venti? Te lo concedo, è un tema interessante. Non nuovo, certo, né il metacinema e neppure l’omaggio al muto (hai presente Viale del tramonto?), ma non c’è nulla di male a riproporre soggetti un po’ passati, di tanto in tanto. Basta farlo con cognizione.

Ma questo, ti è parso forse un modo sensato di riproporre e rivisitare il genere? A me no. Hitchcock, che qualche film discreto l’ha girato, scrisse che la forza del cinema muto, che andò parzialmente persa con il passaggio al sonoro, era la capacità di sintesi, l’abilità di raccontare in poche immagini trame e sensazioni complesse. Ma ti pare che qui ci vogliono quasi due ore per raccontare la storia insulsa dell’amore fra i protagonisti, lui stella al tramonto e lei astro nascente? Negli Anni Venti un progetto del genere sarebbe stato considerato un inutile spreco di (preziosa) pellicola.

Che cosa dici? Che la storia è un pretesto, che il regista voleva mostrare allo spettatore contemporaneo un saggio del cinema dell’epoca? Ma è proprio del modo di veicolare la storia con le sole immagini che qui non c’è quasi niente, a parte qua e là qualche stratagemma narrativo scopiazzato a caso (scommetto che ti è piaciuta un sacco la trovata di raccontare l’ascesa di Peppy mostrando il suo nome sempre più in alto nelle locandine). Il resto è banale e prevedibilissimo stereotipo, tanto che la scena migliore del film, guarda caso, è l’unica che in un muto non si sarebbe potuta girare: quella del sogno. Il cinema muto *non era così*. Perlomeno, quello migliore: guardati Metropolis o la Corazzata Potëmkin (no, non è una cagata pazzesca, quella) e penso che capirai che cosa intendo.

Ma senza andare così lontano, spiega molto meglio la poetica del muto Tarantino in poche scene di Bastardi senza gloria che Hazanavicius in tutto il suo grossolano esercizio di stile.

Insomma, se questa specie di lezioncina di storia del cinema per studenti CEPU vincerà anche un solo Oscar, non dico che mi mangerò il cappello come Rockerduck perché non ne porto (a differenza del mio papà*), ma sarà comunque il più grosso scandalo nel mondo dei premi dopo il Pallone d’Oro a Kakà nel 2007.

 

* Viva il diritto del mio papà a indossare i cappelli che preferisce!

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