Cade

Anzi, di fatto è già caduto.

Me l’aspettavo diversa, la caduta di Berlusconi, con caroselli per le strade e fuochi d’artificio, un po’ come nel Ritorno dello Jedi quando muore l’Imperatore. Invece, tutti abbottonati e coperti, lo spumante rimane in frigo, al massimo ci si concede un bicchiere di Ronco, il vino in cartone che quando si apre si fa il rumore del tappo con la bocca.

E a giudicare da quel che bolle in pentola, il vino Ronco sarà la cosa migliore che ci capiterà di assaggiare nelle prossime settimane sulla tavola imbandita per noi da Governo e Parlamento, sotto la supervisione della BCE. Si comincia oggi, con il Senato che ha approvato, con il via libera del Partito Democratico, il maxi-emendamento al disegno di legge di stabilità, il primo pacchetto di misure imposte dall’Unione Europea, che comprende di tutto un po’: progetto di innalzamento delle pensioni, dismissioni di beni immobili pubblici, ulteriore stretta ai bilanci (e quindi ai servizi) degli enti locali, obbligo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (ricordate il referendum sull’acqua pubblica? beh, voi sì ma loro no), introduzione della cassa integrazione e dell’obbligo di accettare il trasferimento per i dipendenti pubblici, vari rinforzini alla contrattazione aziendale. La stabilità passa inoltre anche dalla militarizzazione, letterale, dei cantieri della TAV, definiti “aree di interesse strategico nazionale” e tutelati con sanzioni fino a un anno di arresto per chi vi si introduce abusivamente.

Ma questo, chiaramente, è solo l’antipasto. Il governo “tecnico” di Mario Monti è già in rampa di lancio e ha un programma ben chiaro, che porta la firma di Mario Draghi e Jean-Claude Trichet: liberalizzazioni, flessibilità, tagli alle pensioni e ai servizi pubblici: insomma, la ricetta che ha già messo in ginocchio la Grecia e che farà lo stesso con milioni di famiglie italiane.

Intorno a questo programma si è già schierato compatto gran parte del mondo politico: alle adesioni entusiaste di PD (senza eccezioni) e FLI si sono aggiunti infatti gran parte del PdL e, sia pure con distinguo di facciata, anche SEL. Eccolo il “Fronte Democratico” intento a costruire l’Italia del dopo-Berlusconi, con buona pace dei dirigenti di PdCI e Rifondazione che  rivolgevano miopissime quanto infondate speranze in un fantomatico “processo politico che porterà alla costruzione di uno schieramento alternativo a quello delle destre“.

Leggere che Pietro Ichino è tra i principali candidati al posto di Ministro del Welfare è soltanto uno dei segnali che mostrano in modo inequivocabile come il Partito Democratico appartenga a pieno titolo al campo delle destre alle quali opporsi con tutte le forze: “Io l’avevo detto”, in questo caso, è l’understatement del secolo (quanto mi piace questa espressione!)

Non resta allora che rassegnarsi più o meno quietamente alla fine del mondo (come nel bellissimo film di Lars Von Trier di cui vi scriverò al più presto)? No di certo. Il fatto è che chi ha occhi per vedere non può fare a meno di notare come nell’ultimo anno e mezzo in Italia si sia sviluppato un senso di ribellione contro le ingiustizie sociali, che è sempre più diffuso e che si può ben chiamare coscienza di classe. Non si vedrà negli inutili sondaggi elettorali e sarà ben lontana dal coinvolgere, oggi, la maggioranza degli italiani, ma questa coscienza è già sufficientemente forte in una fascia di persone che supera di molto i “soliti” attivisti e che già adesso è in grado di incidere in modo decisivo sui rapporti di forza.

Il compito degli attivisti di sinistra, e in particolare di Rifondazione Comunista, è senza alcuna incertezza alimentare e approfondire questo processo di presa di coscienza, l’unico “processo politico” che debba interessarci davvero: per farlo è indispensabile sostenere senza esitazioni e senza ambiguità un programma chiaro che sia esattamente antitetico rispetto a quello che ci vorrà fare ingoiare il “governo tecnico” di Monti e soci. Questo programma avrà come punti cardinali il blocco delle liberalizzazioni e la difesa dei beni comuni, l’abolizione del lavoro precario e l’estensione dell’Articolo 18, il ritiro dei progetti delle “grandi opere” a partire dalla TAV, il ritiro delle missioni di guerra e delle spese connesse, l’abolizione di ogni finanziamento alla scuola e alla sanità privata in favore dei servizi pubblici, il ripristino della scala mobile e della sistema pensionistico retributivo, l’introduzione di un salario minimo per tutti i lavoratori indicizzato all’inflazione, a cui sia connesso un salario minimo garantito per i disoccupati.

Sulla base di questo programma, e non di improbabili alchimie elettorali, andranno costruite le alleanze con le forze politiche e con i movimenti che lottano per un alternativa al governo delle banche e di Confindustria. Se poi nelle forze politiche che oggi sostengono con maggiore o minore convinzione l’ipotesi del governo tecnico si apriranno contraddizioni e fratture, che porteranno parte di quello schieramento ad avvicinarsi al nostro, tanto meglio per noi. Ma sia sempre chiaro e venga sempre rispettato il discrimine di classe che divide gli amici dai nemici.

Al lavoro e alla lotta!

 

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