Arriva lo Statuto dei Lavori: il cerchio si chiude

Oggi entra in vigore il Collegato Lavoro, di cui si è scritto in lungo e in largo. Altro ci sarebbe da scriverne, ma la verità è che qui non si fa in tempo a parare un colpo che subito arriva una nuova fregatura.

Lo Statuto dei Lavori è una grossa fregatura e proprio per questo, anche se la sua entrata in vigore non è imminente, conviene prenderlo per tempo. Di che si tratta? Al momento, di un disegno di legge-delega che il Ministro del Lavoro Sacconi ha presentato alle “Parti sociali” (sindacati e Confindustria) alcune settimane fa, con l’obiettivo dichiarato di “aggiornare” lo Statuto dei Lavoratori.

Essendo una legge-delega, il progetto è tutt’altro che definito: l’idea è che il Parlamento affidi al Governo il compito di elaborare la disciplina, delineando soltanto i principi generali. Ma questi principi generali non lasciano dubbi sulle finalità della riforma. Nelle parole della relazione che accompagna il testo:

Al lavoro stabile e per una intera carriera si contrappongono oggi sempre più frequenti transizioni occupazionali e professionali che richiedono tutele più adeguate. I mutamenti del mondo del lavoro implicano l’insorgere di esigenze che spiazzano un sistema di tutele ingessato – perché fatto di norme rigide sulla carta quanto ineffettive e poco adattabili alla mutevole realtà del lavoro – suggerendo l’introduzione di assetti regolatori maggiormente duttili e la definizione di diritti universali e di tutele di matrice promozionale.

In sostanza, si dice, dal momento che le leggi attuali, e in particolare lo Statuto dei Lavoratori del 1970, non sono sufficienti a tutelare efficacemente i lavoratori “flessibili”, le leggi stesse devono diventare “duttili” per poter assicurare una tutela omogenea tra lavoratori stabili e precari. Ecco un’ulteriore conferma, qualche riga sotto:

La verità è che l’attuale sistema normativo del diritto del lavoro non soddisfa pienamente nessuna delle due parti del contratto di lavoro. Non i lavoratori che, nel complesso, si sentono oggi più insicuri e precari. Né gli imprenditori ritengono il quadro legale e contrattuale dei rapporti di lavoro coerente con la sfida competitiva imposta dalla globalizzazione e dai nuovi mercati.

Anche dopo le recenti innovazioni apportate dalla legge Treu e, più ancora, dalla legge Biagi è palese, e non solo nei settori maggiormente esposti alla competizione internazionale, l’insofferenza verso un corpo normativo sovrabbondante e farraginoso che, pur senza dare vere sicurezze a chi lavora, rallenta inutilmente il dinamismo dei processi produttivi e l’organizzazione del lavoro.

L’argomentazione del Ministro in sostanza è questa: “lo Statuto dei Lavoratori e tutte le altre leggi che regolamentano il mercato del lavoro serviranno forse a difendere i lavoratori stabili, ma non sono valide per i precari, che sono al di fuori del loro campo di applicazione e infatti crescono costantemente di numero. Allo stesso tempo, quelle regole e in primis lo Statuto dei Lavoratori con quel suo antiquato articolo 18, servono soltanto a vincolare le aziende impedendo loro di essere competitive sul mercato globale.”

Ed ecco ora lo stesso ragionamento al netto della squallida ipocrisia che cerca di coprirlo: “Abbiamo introdotto la precarietà prima con la legge Treu (sui contratti a termine: grazie al Centrosinistra) poi con la legge Biagi (per tutto il resto: grazie alla Destra) ormai da sette lunghi anni. In questo modo il mercato del lavoro si è destrutturato e polverizzato abbastanza da rovinare la vita a milioni di persone, soprattutto giovani, ma non ancora abbastanza da consentire alle aziende di fare tutti, ma proprio tutti i loro porci comodi. Insomma, per poter affrontare degnamente (degnamente? mica tanto) la sfida del mercato globale, i padroni di casa nostra devono essere liberi di assumere e licenziare quando cazzo gli pare, senza dover rendere conto a nessuno, senza dover spiegare il perché, tantomeno a dei giudici. Tanto precari lo siete già, esserlo un po’ di più non vi cambia la vita.”

Si nota il difetto logico? “Siccome l’art. 18 non si applica ai precari, e siccome ormai i precari sono sempre di più, aboliamo l’art. 18”. Come se fosse colpa di quella legge se non si applica ai precari! Come se fosse colpa dello Statuto se i Governi passati hanno introdotto forme sempre più estese di precarietà del lavoro!

La colpa invece è tutta dei Governi che si sono susseguiti negli ultimi (almeno) dieci anni, seguendo un disegno coerente di cancellazione della stabilità del lavoro, operando così nei fatti una colossale redistribuzione dei rischi d’impresa dalle aziende ai lavoratori, mentre i redditi seguivano il percorso inverso, dalle tasche dei lavoratori a quelle dei loro padroni. Prima, con l’introduzione massiccia dei contratti precari, hanno creato un’area sempre più vasta in cui fosse disapplicato lo Statuto dei Lavoratori; adesso, una volta diffuso come un virus il fenomeno della precarietà in modo da renderlo, agli occhi degli stessi lavoratori, un modo del tutto normale di pensare la propria vita, si propongono di eliminare le tutele anche a chi continuava ad averle, precarizzando l’intero sistema con tutti gli strumenti disponibili. Tra questi, la cancellazione della fuzione di garanzia dei contratti collettivi, che si vogliono sempre più decentrati a livello territoriale (il ritorno delle gabbie salariali) e perfino aziendale. Il cerchio si chiude, insomma, ed è come il recinto in cui sono rinchiusi gli animali da mandare al macello.

La legge-delega, per inciso, è lo strumento che consente il massimo arbitrio al Governo e il minor controllo parlamentare – non che questo Parlamento avrebbe difficoltà a votare a larghissima maggioranza, se non all’unanimità, un progetto del genere. Non a caso, appena il giorno prima della presentazione del disegno di legge-delega, il Senato ha approvato con 14 contrari e 12 astenuti (tra l’altro, tutti della maggioranza), un ordine del giorno che impegna il Governo a prendere provvedimenti per sostenere la crescita della produttività

che è anche condizione per attrarre investimenti esteri, attraverso nuove regole per le relazioni industriali che tengano conto dell’esperienza di Pomigliano d’Arco e modelli contrattuali che sviluppino la contrattazione decentrata di secondo livello e coinvolgano i lavoratori nei risultati dell’impresa; l’effettiva premialità per la responsabilità e il merito anche nelle amministrazioni pubbliche; un nuovo codice del lavoro semplificato, anche sulla base delle proposte del disegno di legge Senato 1873.

“Nuove regole per le relazioni industriali che tengano conto dell’esperienza di Pomigliano d’Arco”! L’ordine del giorno, tra parentesi, porta la firma di Francesco Rutelli e altri appartenenti al campo del “Centrosinistra”. Ma che cos’è questo “disegno di legge Senato 1873”? Lo troviamo sul sito del Senatore Pietro Ichino, giuslavorista di punta del Partito Democratico: è una sorta di precursore dello Statuto dei Lavori, in termini del tutto analoghi a quelli annunciati dal Ministro Sacconi. Converrà però parlarne nei prossimi giorni in un altro post, interamente dedicato alle proposte del Partito Democratico in materia di lavoro.

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