Resident Evil 3D – Milla contro gli Zombie subbaqqui

È noto che il tema dei morti viventi abbia ispirato, grazie agli indimenticabili classici del genere, potenti metafore in grado di descrivere efficacemente, da un punto di vista originale, la realtà contemporanea, le dinamiche del capitalismo, l’impoverimento della cultura e l’abbrutimento della società. “Socialismo o zombie”, avrebbe potuto parafrasare il proprio pensiero Rosa Luxemburg al cospetto di capolavori come La Notte dei Morti Viventi: chissà che cosa avrebbe pensato vedendo Resident Evil – Afterlife in 3D.

Bisogna premettere che se uno va a vedere un film tratto da un videogioco sparatutto, non può attendersi un elevato grado di impegno sociale o chissà quale profondità di messaggio. La storia sarà principalmente un pretesto per esibire effetti speciali spettacolari e magari qualche bella ragazza. Certo, può anche capitare che a questi ingredienti si mescoli effettivamente qualche significato non troppo banale, e in questi casi ci si trova davanti a un capolavoro. Tanto per chiarire, il quarto capitolo della saga prodotta (e in questo caso anche diretta) da Paul W.S. Anderson non ha nessuna ambizione di essere un capolavoro, ma anche senza aspirare a tanto, tutto sommato, era lecito aspettarsi qualcosa di più.

Rispetto ai tre precedenti – specialmente il primo e il terzo – colpisce la totale mancanza di una “trama”, intesa come successione coerente e in qualche modo interconnessa delle varie scene e dotata di una valenza narrativa. E quando parliamo dei precedenti, parliamo di film che possono tranquillamente riassumersi in meno di un minuto. Tutti e tre. Nello stesso minuto. Ma anche quel poco di storia, qui, viene sacrificato sull’altare della “giocabilità”: ora, quando dei videogiochi meglio riusciti si dice che “ormai non c’è quasi più differenza rispetto a un film”, si presuppone che, in generale, un film sia meglio di un videogioco. Detta al contrario, cioè parlando di un film sia pure tratto da un videogame, non può che essere un difetto.

La “trama”, comunque: Milla, finalmente privata dei superpoteri dal malvagio presidente della Umbrella Corporation (ma fa lo stesso un sacco di figate precluse a un comune mortale), va in cerca di altri superstiti e della leggendaria Arcadia, terra promessa libera dall’infezione del virus T, a bordo di un aeroplano scassato che non si capisce bene con quale carburante voli. Mentre sorvola Los Angeles (dopo aver raccattato una Claire Redfield smemorata, che avevamo conosciuto nel precedente episodio) si imbatte in un gruppetto di sopravvissuti rifugiati in una vecchia prigione e assediati dagli zombie. La benza finisce proprio lì (sorpresa!) e la nostra Alice si ritrova prigioniera degli zombie insieme agli altri. Qui scopre che Arcadia è in realtà una nave cargo ormeggiata – guarda te che combinazione – al largo di Los Angeles. Ma oltre agli zombie normali, adesso ci sono pure degli zombie subbaqqui che riescono a scavare un tunnel e penetrare nella prigione dalle fognature. E c’è pure uno zombie gigante munito di mazza rotante che non si capisce da dove provenga – probabilmente da qualche altro film. Non senza lasciare per strada la solita fighetta che si capisce subito verrà sacrificata, i nostri riescono a raggiungere la nave Arcadia, e il resto non ve lo racconto così i più ingenui tra voi possono sperare in qualche imprevedibile colpo di scena: dirò solo che a un certo punto qualcuno pronuncia le parole rese immortali dall’Ammiraglio Ackbar – “È una trappola!”

Il limite non è soltanto la desolante monodimensionalità dei personaggi (il 3D evidentemente funziona solo per gli effetti speciali): non un dubbio, non una sfumatura, non un cambiamento dall’inizio alla fine – certi videogiochi sono fatti meglio da questo punto di vista. Neppure ci si può lamentare della povertà dei dialoghi – che in confronto quelli di Terminator 2 sembrava li avesse scritti Oscar Wilde. Ma qui pure i cambi di inquadratura sembrano guidati da un joypad, le scene si susseguono *esattamente* come livelli di un videogame, dai mostri facili a quelli più difficili fino al mostro finale. C’è perfino qualche secondo di intervallo alla fine della scena come per “caricare” quella successiva.

C’è da dire che Anderson sa perfettamente che tipo di film sta facendo e ci gioca pure su: carina ad esempio l’idea delle monete usate da Milla come proiettili, così che quando un mostro viene colpito al suo posto lascia un “tesoro”. Ma non c’è molto altro di originale (ammesso che questo lo sia): non poche inquadrature e intere scene sono saccheggiate dal classicissimo Matrix e perfino dal Signore degli Anelli (gli zombie-orchetti che assediano la prigione-Fosso di Helm), il bullet time è rivitalizzato dal 3D ma è pur sempre roba vecchia di dieci anni e comunque la legge dovrebbe stabilire un limite al suo utilizzo.

Poi, per carità, si è visto di peggio – io perlomeno. La scena iniziale con l’esercito di cloni di Alice (benché a sua volta clonata da Matrix) promette anche bene (tantissime Mille Jovovich are megl che uan!), i combattimenti per quanto dall’esito scontato (si riesce a prevedere con esattezza chi morirà, quando e in che modo) hanno un discreto ritmo e gli zombie mutanti (ora possono nuotare e scavare tunnel!) sono simpatici.

Presto ci sarà un seguito, come sembra annunciare la scena finale e come ha esplicitamente anticipato Milla: Resident Evil – Damnation. Guarda caso, “dannazione!” è anche ciò che ho pensato quando l’ho saputo.

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2 comments

  1. Hehe… come non concordare su tutta la linea…
    Hai dimenticato lo “spoiler” che il seguito sarà un soft-porn 3D, come anticipato dalla tettona con scollatura non antiproiettile che si vede alla fine.

    P.S. Sul tema dei morti viventi come metafora della società, ti consiglio vivamente anche La Terra dei Morti Viventi di Romero!

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