Tempo di saldi per i padroni

Alla fine di questo mese tornerà alla Camera per l’approvazione definitiva, dopo essere stato approvato con modifiche al Senato lo scorso novembre, il disegno di legge n. 1167/2009 intitolato “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione feminile, nonché di misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro“.

Nel disinteresse di tutti, eccetto gli addetti ai lavori, il padronato italiano si prepara a portare a casa l’ennesima vittoria sul fronte della liberalizzazione dei rapporti di lavoro. Restano da appianare alcune divergenze tra le diverse lobby che animano il Parlamento, ma la sostanza è in gran parte decisa.

Tra le questioni che paiono essere ancora in sospeso c’è la forte incentivazione al ricorso a procedure di conciliazione e arbitrato stragiudiziale, più costose e svantaggiose per i lavoratori rispetto ai normali giudizi in Tribunale. Si tratta di procedure già esistenti oggi, ma finora poco appetibili per gli imprenditori e di fatto inutilizzate. Padroni e sindacati loro amici (CISL, UIL, UGL, perlomeno al livello delle dirigenze nazionali) si leccano i baffi all’idea, gli uni, di trovarsi di fronte arbitri privati più addomesticabili dei giudici di Tribunale, in procedure abbastanza costose da scoraggiare molti lavoratori dall’avviarle, gli altri, di guadagnare un sacco di soldi con la partecipazione alle commissioni arbitrali. A mettersi di traverso, tra gli altri, c’è un po’ a sorpresa la casta degli avvocati, specialmente quelli che difendono i datori di lavoro: temono di essere scavalcati, e che si possa finire col fare a meno di loro. Vedremo chi prevarrà (considerato che una discreta percentuale di Deputati è costituita da avvocati).

Ai giudici si comanda non mettere becco nelle “valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente“: dovrebbero quindi limitarsi a valutare l’aspetto formale dell’operato padronale, senza considerare il merito delle questioni. Fortunatamente, un simile invito sarà ben difficilmente rispettato dalla maggioranza dei magistrati. Nulla potranno però fare i giudici (se non controllare la correttezza formale del contratto), quando il lavoratore chieda l’accertamento di un rapporto subordinato o l’inefficacia del termine, nel caso in cui il contratto sia stato precedentemente “certificato” da un apposito organo: c’è da sperare che siano poche le aziende che faranno ricorso a questo strumento.

Ben altra efficacia hanno le novità in tema di licenziamento (art. 34 del ddl). Innanzitutto, diventa più complicato impugnarlo: finora era sufficiente qualsiasi atto scritto del lavoratore, senza formalità, nei 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento; adesso viene introdotto l’obbligo ulteriore di depositare il ricorso in giudizio, nei 180 giorni successivi. A leggerlo così sembra un problema da poco. Sarebbe interessante, però, verificare dopo un anno quanti saranno i licenziamenti non revocati per il mancato rispetto di questi termini: spero di sbagliarmi, ma secondo me non saranno pochi.

Come se non bastasse, queste nuove regole vengono estese anche ad ambiti nei quali finora non era previsto alcun termine: contratti a termine e a progetto. Altro regalo ai datori di lavoro.

Ma gli sconti ai padroni non sono finiti, e a pagarli sono ancora i precari – in questo caso i lavoratori a termine: nel caso in cui il termine sia dichiarato nullo – e il contratto sia convertito a tempo indeterminato – il risarcimento non coprirà più tutto il periodo dalla scadenza del termine al ripristino del rapporto, ma sarà contenuto tra 2,5 e 12 mensilità di retribuzione. Tanto per non farci mancare niente, questa bella novità sarà applicata anche alle cause in corso al momento di entrata in vigore della legge.

I lettori più attenti avranno notato che, nel titolo del Disegno di Legge, si parla anche di “ammortizzatori sociali, servizi per l’impiego, incentivi all’occupazione e apprendistato e di occupazione femminile“. Non tutto è male, si potrebbe pensare. E invece no, non si può pensare: l’unica norma che se ne occupa, infatti, lo fa per … rinviare l’adozione di queste misure, concedendo al Governo tempo fino alla fine dell’anno. Tanto la crisi ormai è alle spalle!

Per una volta, insomma, non ci sono dubbi: la merda è così brutta come la si dipinge.

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3 comments

  1. Stò seguendo con interesse l’evolversi di questo decreto legge, per saperese, dopo la sua approvazione potrò beneficiare di uno sconto per andare in pensione. Attualmente sono collocato in mobilita fino alla fine del 2011 raggiungendo i requisiti per la pensione a Luglio 2012. Ecco perche se viene approvato forse potrei andare in pensione un pochino prima.
    Mi raccomando, se qualcuno ha notizie recenti su questo argomento, le posti pure su questo blog.
    Un saluto e tantissimi ringraziamenti a tutti!!!

  2. Sono sconvolta per come questa riforma stia passando sotto silenzio!
    E’ vergognoso…tutti i partiti vogliono questo!I programmi di approfondimento politico…ospitano i trans, i sindacati…dormono…le persone , noi tutti lavoratori … silenzio assoluto… manca un pastore a dirigere il gregge!

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