Dal presidio della INNSE

Presidio INNSEIeri sono stato per alcune ore al presidio davanti ai cancelli della INNSE: qui potete vedere alcune delle foto che ho scattato.

Tutti i ragionamenti sull’assurda ingiustizia di una situazione in cui agli operai di una fabbrica perfettamente produttiva viene impedito di lavorare per favorire un’operazione puramente speculativa, dal vivo, acquistano un’impressionante concretezza.

Sei camionette e altri veicoli della polizia chiudono materialmente l’accesso ai capannoni, una falange di poliziotti e carabinieri armati di scudi protegge fisicamente l’interesse del padrone a guadagnare milioni senza lavorare un secondo, contro quello degli operai a portare a casa uno stipendio facendo il proprio mestiere.

Il presidio, un agglomerato di tendoni proprio di fronte ai cancelli, è pulito e ben organizzato: all’ora di pranzo vengono preparati e offerti a tutti i presenti – un centinaio di persone – panini, insalata, frutta in grande quantità. Poi passano alcuni operai a spazzare per terra e raccogliere l’immondizia: mantenere il decoro del presidio è un modo non solo simbolico per esprimere la propria dignità.

L’aria è inquieta, comprensibilmente. La situazione è bloccata: i cinque operai saliti sulla piattaforma una settimana fa non intendono scendere e consentire lo smontaggio dei macchinari, ma nemmeno tutte le varie controparti sembrano disposte a fare un passo indietro e ascoltare le proposte dei lavoratori. In particolare, è stato chiesto che venga concessa la vendita dell’azienda a un acquirente disposto a riprendere la produzione, annullando in qualche modo la precedente cessione dei macchinari come rottami.

Quelli tra i lettori che sanno qualcosa di diritto civile, obietteranno che il proprietario dell’azienda aveva tutto il diritto di farne ciò che voleva, anche di chiuderla e vendere i macchinari pezzo per pezzo, per ottenerne il massimo guadagno. Del resto, si sa, gli imprenditori sono in affari per fare soldi, non certo per produrre qualcosa. Così come è evidente il diritto della società che ha acquistato i macchinari a smontarli e portarseli via: è quello che in effetti sta accadendo, e commenti simili – e molto più spiacevoli, in realtà! – si leggono su (quasi) tutti i giornali in questi giorni.

Per fortuna allora che gli operai della INNSE non hanno studiato giurisprudenza! Ma in ogni caso, è proprio la prospettiva che, in un caso come questo, va completamente rovesciata. Se il semplice buon senso, prima ancora che il bolscevismo, mostra l’assurda disparità di interessi tra il guadagno di un unico individuo e la rovina di cinquanta famiglie, come può pretendersi il rispetto di un sistema di leggi che sancisca questo diritto?

Se poi volete proprio un appiglio giuridico, eccovi l’art. 41 della Costituzione: “[L’iniziativa economica privata] … non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana“. Se non è questo un caso di contrasto con l’utilità sociale o di danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità di centinaia di persone, che cos’altro lo sarà?

Lo scontro intanto prosegue. Ieri sera è stata tolta completamente la corrente sulla piattaforma occupata dai cinque operai: tra le altre cose, non avranno più modo di comunicare con chi è fuori dalla fabbrica. L’unica possibilità di vittoria dipende dalla solidarietà e dalla partecipazione, in ogni modo possibile, del maggior numero di persone. La situazione è particolarmente critica perché siamo ad agosto, ed è più difficile organizzare una risposta efficace, che sia una manifestazione o uno sciopero degli operai metalmeccanici.

Alcune indicazioni pratiche per chi volesse andare al presidio: da fuori Milano, il modo più semplice per arrivarci è dalla Tangenziale Ovest: l’uscita di Via Rubattino è chiusa, occorre fare il giro dall’uscita di Lambrate, da lì basta prendere la prima via sulla sinistra e dopo meno di un chilometro è lì.

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