Come il Grande Fratello

L’altra sera ho visto un film che mi è piaciuto moltissimo, Tutta la vita davanti, di Paolo Virzì. Parla di una brillante neo-laureata in Filosofia che, non trovando altro lavoro più adeguato alla sua preparazione, finisce per lavorare in un call center (o call centre, secondo la grafia britannica) (così Mauro non interviene pignolamente).

Gli spunti di riflessione sono molti e interessanti. Mi ha colpito in particolare un aspetto: il confronto tra il lavoro nel call center e la dinamica dei reality show. Questo confronto è reso in molteplici maniere, più o meno esplicite: l’immagine del call center è coloratissima e vivace, perfino il cielo è sempre azzurro intenso quando Marta (la protagonista) va al lavoro. Il palazzo, alla periferia di Roma, fuori è tutto di vetro a specchio, dentro è tutto tecnologia, colori talmente accesi da sembrare finti, plasticosi. La Casa del Grande Fratello. Le dinamiche all’interno del call center somigliano drammaticamente a quelle del reality: da un lato, le concorrenti/telefoniste sembrano tutte amiche, solidali, oche quanto basta, dall’altro chi non ce la fa (chi non produce abbastanza) viene prima “nominata”, avvisata una volta, e poi cacciata pubblicamente, nel modo più umiliante. Quando una ragazza è licenziata piange disperatamente, non solo, sembrerebbe, per aver perso il lavoro, ma perchè deve abbandonare la Casa, e infatti insieme a lei piangono anche le altre. Ma sono lacrime di coccodrillo, perchè nemmeno troppo in fondo serpeggia tra le telefoniste una concorrenza spietata. Solo una, ogni mese, vince il premio per la migliore telefonista, e solo una, con la giusta perseveranza e spregiudicatezza, riuscirà a diventare un giorno come lei, la team leader, una che “faceva la telefonista anche lei, e guarda dove è arrivata!”. Una magnifica Sabrina Ferilli ricorda tremendamente certe conduttrici televisive di reality: con le lavoratrici è a volte mamma, come quando ogni mattina manda loro un patetico messaggino “motivazionale”, a volte crudele torturatrice, a volte complice, ma sempre con il coltello dalla parte del manico. Ha ottenuto quel ruolo conquistando i favori di Claudio, il manager/tronista che tutte le ragazze cercano di contendersi.

Torna a più riprese, il Grande Fratello. Gli ex compagni di studi di Marta si sono riciclati in lavori “che non c’entrano nulla con la Filosofia”, un paio di loro sono proprio tra gli autori del reality più popolare. Ma è proprio vero che non c’è un legame tra questi due mondi, apparentemente così distanti? Da sempre la Filosofia, come la Religione, è al servizio del potere. Perlomeno, da sempre esistono filosofi disposti, più o meno consapevolmente, a modellare il proprio pensiero secondo l’utilità della classe dominante: è così per molti dei maggiori, dall’antichità all’età contemporanea, da Platone a Popper passando per gli scolastici, Kant ed Hegel. Oggi, i Filosofi (in questo caso, i laureati in Filosofia) vengono usati dalla classe dominante per creare, anche attraverso i programmi della TV-spazzatura, un terreno favorevole a un’organizzazione della società basata sulla concorrenza individuale, sulla ricerca spasmodica del successo personale, da raggiungere a qualsiasi costo e da esibire con il lusso più sfrenato. Gli eroi di questi valori meschini sono veline e tronisti, calciatori e personaggi dei reality, salutati da folle plaudenti di plebe precaria che oggi guadagna 1.000 euro al mese, e quando chiuderà il call center resterà semplicemente a casa, senza lavoro, a guardare la televisione.

Non è frutto del caso, né di un generico degrado dei tempi, che, oggi, questa sia la cultura di massa. E’ il frutto di un disegno preciso delle classi dominanti, dei capi di Multiple (la multinazionale che sta dietro al call center, nel film) e di Confindustria che controllano televisioni e giornali, che perseguono la stessa strategia di sempre: divide et impera.

C’è una soluzione? Secondo gli autori del film, apparentemente, no. E’ scartata l’opzione dell’organizzazione collettiva attraverso il sindacato, che ha fatto il suo tempo e non è più in grado di ricostituire la solidarietà di classe tra gli sfruttati. Giorgio, il funzionario del NIdiL CGIL che cerca di riscattare le lavoratrici, ha scelto di fare il sindacalista perchè si ricorda di quando da piccolo gli operai marciavano compatti, e toccarne uno era toccarli tutti. Ma nell’epoca del Grande Fratello finisce per essere dipinto come una via di mezzo tra l’inutile macchietta e il venditore di illusioni: il meglio che riesce a fare è far minacciare il licenziamento di quindici lavoratrici, che non raggiungono più gli standard richiesti dopo l’inchiesta sindacale finita sui giornali. E non offre una speranza concreta, secondo me, la bimbetta che nell’ultimissima scena dichiara che “da grande farò Filosofia”: che garanzia c’è che scenderà davvero nella caverna di Platone a riscattare gli esseri umani che del mondo vedono soltanto le ombre, e non verrà invece corrotta, comprata pure lei, pagata proprio per coltivare l’illusione che quelle ombre siano l’unica realtà?

Si tratta, secondo me, di avere o non avere fiducia nelle masse di sfruttati, precari in tutto tranne che nella costanza della propria precarietà: tutti, anche quelli con un contratto a tempo indeterminato, sotto il ricatto continuo del non farcela ad arrivare alla fine del mese. Io penso che, di fronte all’emergenza, con le spalle contro il muro, da lì verrà una reazione, magari con l’esempio di quanto potrà avvenire nei prossimi anni in Paesi complessivamente più poveri del nostro, ma più avanti di noi sulla strada della coscienza di classe. In quel momento, anche le “vecchie” organizzazioni dei lavoratori potranno tornare a giocare un ruolo decisivo, e al povero sindacalista del NIdiL non appiccicheranno più dietro la schiena la scritta “tapiro de coccio”.

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5 comments

  1. Ciao,

    condivido molti aspetti della tua visione del film, che ho molto apprezzato. D’altra parte Virzì è un vecchio volpone della commedia e sa benissimo come entrare nelle grazie dello spettatore senza svendere la sua professionalità.

    Sono meno d’accordo sulla visione di Giorgio il sindacalista, interpretato da Valerio Mastandrea che è, a mio parere, forse il miglior attore che abbiamo in italia. Il suo personaggio non è macchietta, a mio avviso, è solo sorpassato. Un eroe che sarebbe stato perfetto 40 anni fa, non ora.

    Comunque Giorgio è sì inadatto al nuovo mercato del lavoro ma perchè inadatta la struttura del sindacato.

    Dai un occhio alla mia recensione su Tutta la vita davanti, che poi non è proprio una recensione quanto più uno sproloquio politico/sindacale sul degrado del mondo del lavoro.

    Che la forza sia con te!

    Teo

  2. La Multiple come la SPECTRE o la Umbrella Corporation?

    Pare bello questo film, e poi altri film di Virzì erano proprio bellini. Se te la sei persa, qui c’è un’altra recensione ben fatta!

  3. la recensione è così bella che quasi quasi non vado a vederlo!!!! è un film triste e stressante.. così parrebbe…

  4. Invece non è affatto triste nè stressante! Anche per questo è proprio un gran film: riesce a comunicare un messaggio “serio” in modo vivace, colorato, perfino allegro. Vai a vederlo, poi mi dirai!

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